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Frankie hi-nrg mc: "Tra rap e storia d'Italia, il mio racconto per i giovani per tenere viva la memoria"

Il primo rapper italiano ha pubblico "Faccio la mia cosa", un'autobiografia in cui il racconto della sua adolescenza si intreccia con la storia dell'Italia degli anni 80 e con la nascita del rap in Usa

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"Frankie, come ti sei avvicinato al rap?". E' dal 1992 che Frankie hi-nrg mc, pionere dell'hip-hop italiano, si sente ripetere questa domanda. E ora ha deciso di dare una risposta con "Faccio la mia cosa", un libro in cui la sua storia personale si intreccia con quella dell'Italia degli anni 70 e 80 e con quella della nascita del rap negli Usa. "Da 20 anni si assiste a una rimozione del concetto di memoria - dice -, ma i giovani hanno bisogno di storie".

Per uno che lavora da sempre sulla parola il libro sembra un passaggio naturale, per quanto non obbligatorio...
E' quello che ho tentato di dire nei 30 anni precedenti alla scrittura di questo libro quando la gente insisteva che dovevo scrivere un libro. Con lo stesso tono del "oh, ma quando esce il nuovo album?". Se è arrivato adesso è perché è arrivata un'idea. Di cui ho visto un principio, uno sviluppo e una fine prima di iniziare a scrivere. Cosa fondamentale per me per affrontare qualsiasi cosa. 

Qual è stata la scintilla?
Mi sono accorto di essere pronto quando ho sentito per l'ennesima volta la domanda "Frankie, ma come ti sei avvicinato al rap?". Una cosa che mi sento chiedere dalla prima intervista nel 1992, con Linus e Fiorello. Mi sono preso il tempo di un libro per rispondere a quella domanda. 

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Il libro non è la classica autobiografia di un artista musicale perché di fatto della tua carriera non si parla. Come mai?
Sarebbe stato fuori tema. Il racconto parte da quando sono nato e praticamente si ferma al 1992, due settimane dopo la domanda di Linus... Io sancisco che l'avvicinamento al rap è stato quando ho fatto un disco spinto da un'urgenza profondamente hip-hop e quando la canzone ha avuto la prima grande diffusione, che è stata nella trasmissione "Avanzi". Lì ho toccato il rap con un dito. Tutto il resto è venuto dopo.

Un momento fondamentale per te ma anche per la nascita del rap in Italia?
Quel mio punto di arrivo è il punto di partenza per Frankie hi-nrg mc ma ha coinciso anche con il punto di partenza di Fabrizio Tarducci. Che guardando quella mia esibizione, registrandola e riguardandola ogni volta che tornava da scuola, gli è presa la fissa di rappare in italiano. Ed è diventato Fabri Fibra.

C'è un filo rosso che vi unisce?
E' la dimostrazione che la modalità dell'hip-hop funziona: nel momento in cui emerge qualcosa c'è qualcuno pronto a farlo proprio e trasformarlo. Perché Fibra ha uno stile diverso dal mio, mi piace, ci piaciamo, ma facciamo cose che suonano diverse e parliamo in maniera diversa. Ma sono due aspetti della stessa cosa. E' questa la bellezza dell'hip-hop.

Infatti nel libro emerge chiaro come ogni passaggio evolutivo del rap sia profondamente agganciato a quello precedente. Mentre oggi con la trap si avverte una cesura con il passato. Come mai?
Sì, è così tanto nella trap italiana che in quella americana. Semplicemente è l'applicazione in ambito musicale del fatto che negli ultimi 20 anni c'è stata una rimozione chirurgica del concetto di memoria e di storia. Oggi tutti noi abbiamo un dispositivo tra le mani che ti dà le risposte e ti toglie il bisogno di ricordare. E quelle risposte le prendi per buone. Ma questo è disumanizzante, perché diventiamo a nostra volta dispostivi che hanno il compito di interrogare un database.

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Perché è avvenuto questo?
E' una forma educativa che porta al fatto che di fronte a chiunque l'attitudine sia "ma chi cazzo è questo? Cosa vuole questo vecchio?". I ragazzi sono stati abituati a vedere tutto come il passato, qualcosa che è stato e non ce ne frega perché dobbiamo vivere il presente. E così le radici svaniscono. Ma le radici sono quelle che ancorano al terreno quando tira vento, che ci evitano di essere spazzati via...

Sembra una condanna della nuova generazione...
E invece non lo è. Perché la colpa è nostra, della generazione di mezza età. Le giovani generazioni sono state educate male, perché noi siamo rimasti adolescenti e trattiamo loro come bambini. Ma loro hanno bisogno di storie, di narrazione. 

Le storie di oggi sono quelle di Instagram. Cosa pensi dei social?
Mi diverto molto, mi piace la formula breve. Su Instagram mi piace molto la possibilità di sintetizzare con un'immagine. Anche se spesso non lo uso come andrebbe utilizzato perché il social ha delle regole, dei tempi, delle scansioni.

Per te sono il nuovo modo di comunicare?
Tutto sta a come vengono utilizzati e a come riesci a capitalizzare la comunicazione che riesci a fare. Bisogna conoscere la metrica dei social network, non per avere più like ma per avere più persone che ti leggono. E poi l'altra cosa importante del social è la responsabilità: tu sei quello che posti. Tanto in termini di contenuti che di identità. Sei hai uno staff che posta le cose per te... non funziona. A meno che lo staff non sia "la bestia"...

A proposito di immagini, una particolarità del libro sono i QR code, che rimandano a video delle canzoni di cui stai parlando.
La lettura aumentata ti dà un approfondimento, è come se ti mettessi la testa dentro la musica che ascoltavo io. E' una chiave di narrazione che sta piacendo. Inoltre per chi non è abituato a una lettura lineare così lunga come è il libro diventa una sorta di vacanza dalla lettura. Per esempio quando parlo di James Brown uno legge il testo che va quasi di pari passo con la canzone e il racconto ne risulta veramente arricchito. 

Ci sarà un seguito?
Boh, non lo so, Forse, perché no?

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