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Clementino: "Non giocate con la droga e i vestiti, il rap è una cosa seria"

Il rapper di Nola torna con "Tarantelle", un album importante che si muove tra rap classico e tradizione melodica napoletana

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Il rap è una cosa seria e come tale va trattato. E' quello che rivendica Clementino con "Tarantelle", l'album che segna il suo ritorno dopo un periodo difficile che lo ha visto anche entrare in comunità per disintossicarsi dalla cocaina. "Non ce l'ho con la nuova generazione del rap in quanto tale - dice -, ce ne sono di bravi. Ce l'ho con chi non sa rappare, parla solo di cose futili e inneggia alla droga. Io ci stavo morendo".

"Tarantelle" è un lavoro importante. Sul piano personale per Clementino ma anche nella scena rap italiana, perché riporta al centro in maniera scintillante uno dei suoi rappresentanti più sinceri e talentuosi. Un disco nato con calma, senza ansie e assilli, lavorando rima per rima, traccia per traccia. Le 14 canzoni finali sono state scelte tra un totale di 70 registrate, proprio per fare emergere il meglio di un periodo di vita molto denso. Il titolo dell'album si associa e più significati. "Il termine viene dal morso della tarantola e dai suoi possibili rimedi secondo la tradizione nel sud Italia - racconta -. Tra questi c'era il mettersi a ballare. In pratica 'sti poveri cristiani si mettevano a ballare per sopportare il dolore, è quello che ho fatto io". Ma non solo questo. "Oggi a Napoli 'tarantella' è sinonimo di guai, casini e bordello".

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E dasl momento che "il rap è verità", come ripete più volte Clementino, dentro questo lavoro c'è tutto. Dalla rivendicazione di essere portatore del true rap rispetto a una deriva futile e superficiale di alcuni esponenti della nuova generazione, all'esperienza personale che si concretizza a partire da documenti privati come la foto di copertina, che ritrae Clementino a 16 anni quando diventare una star del rap era ancora un sogno, o lo spezzone di registrazione della sua voce a 3 anni, insieme a sua mamma, inserito nel brano che dà il titolo all'album. Ma c'è anche l'esperienza della comunità e il tornare alla vita dopo aver toccato il fondo. "La musica aiuta sempre un artista - spiega -. Quando scrivi una canzone esce quello che hai intorno. Sicuramente la musica mi ha salvato la vita. Oltre alla famiglia e agli amici. La musica è quello che mi ha spinto a fare altro. Ho passato un inferno, due anni in comunità, psicologo…". Per questo va su tutte le furie quando sente rapper o trapper dell'ultima generazione che dell'uso di droghe fanno spesso un vanto e uno status symbol. "Tu sei fiero del fatto che ti stai facendo la cocaina? Ma che cazzo dici? - ribatte -. Io ci stavo morendo, vorrei far capire cosa si prova a stare due anni in comunità".
  
Il rapper di Nola tiene però a precisare che le sue "randellate" alla nuova generazione, che si trovano soprattutto tra le rime del pezzo di apertura " Gandhi" ( Io capo dei capi/Voi cape di cazzo/Quando indossate sti capi del cazzo/Capita che poi non cambia l’andazzo/Si ma del rap non capite un cazzo), non sono indiscriminate ma rivolte a precisi atteggiamenti. "Sono tra gli ultimi superstiti di una grande generazione. Nella nuova ci sono i bravi e quelli scarsi - spiega -. Parlo male della generazione che ci sta portando solo ai like e a una questione di pura apparenza. Credo che oggi bisogna far parlare la musica e non le magliette o cosa si mangia. Ma ci sono anche giovani bravissimi, come Nayt, che mi ricorda molto Eminem e ho voluto con me in 'Hola!'".
 
Altri feat importanti dell'album sono quelli di Gemitaiz ("Alleluia"), Caparezza ("Babylon", dove Daniele Durante, direttore musicale della Notte della taranta, suona il tamburello salentino), e Fabri Fibra  ("Chi vuole essere milionario?"). Ma "Tarantelle" mette in mostra apertamente anche la seconda anima di Clementino, quella che affonda le radici nella tradizione melodica napoletana. Tanto da spingerlo ad aprire la presentazione dell'album al teatro Verdi di Milano eseguendo alcuni dei brani accompagnandosi con la chitarra acustica, da vero cantautore. "Mi considero l’unico esponente musicale del black pulcinella - afferma fiero -. Black per il rap americano, e pulcinella è figlio di Pino Daniele, James Senese... ". In quel filone rientrano i momenti più melodici del lavoro, come la commovente "Un palmo dal cielo". "C’è stato un periodo in cui avevo smesso di sognare, forse perché dormivo poco o perché non mi si metteva proprio in moto la fase onirica - racconta -. Poi ho ripreso e mi sono messo a scrivere su dei foglietti quello che avevo sognato. A un certo punto ho trovato il cassetto pieno di foglietti. Quei sogni sono diventati 'Un palmo dal cielo'".

Appena tornato dall’Etiopia, dove ha girato uno spot che promuoverà le operazioni di cooperazione che l’Italia sta facendo, Clementino, dopo un giro di instore, passerà il mese di giugno in giro per l'Europa per un tour nei club, prova generale del tour italiano che farà il prossimo autunno-inverno. E per il futuro apre persino le porte alla possibilità di rivestire ruoli diversi da quelli in cui siamo abituati a vederlo. "Se mi vedo giudice di un talent?  - risponde a domanda diretta -. Sì!. Ma non alla ricerca di una voce rap. Io vengo da dieci anni da animatore nei villaggi, mi piacerebbe fare lo showman".

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