Migranti, Cassazione: stop alla stretta sull'asilo senza prove e fonti certe
La Suprema Corte si è espressa a seguito del ricorso di un pakistano: "Il giudice è tenuto ad accertare la situazione reale del Paese di provenienza, così che ciascuna domanda non venga esaminata alla luce di vaghe fonti internazionali"
Basta con la stretta sulle richieste di asilo motivata, dai giudici di merito, sulla base di generiche "fonti internazionali" che attesterebbero l'assenza di conflitti nei Paesi di provenienza dei migranti che chiedono di rimanere in Italia perché in patria rischiano la vita. Lo chiede la Cassazione che esorta i magistrati a evitare "formule stereotipate" e a "specificare sulla scorta di quali fonti" abbiano acquisito "informazioni aggiornate sul Paese di origine" dei richiedenti asilo. A fare da apripista a questo orientamento è stato il ricorso di un pakistano al quale, con accertamenti "sommari", era stato rifiutata l'accoglienza umanitaria.
La vicenda La Suprema Corte ha così dichiarato "fondato" il reclamo di Alì S., al quale la Commissione prefettizia di Lecce e poi il Tribunale della stessa città, nel 2017, avevano negato il diritto a restare in Italia respingendo la sua domanda di protezione internazionale.
Alì, difeso dall'avvocato Nicola Lonoce, non si è dato per vinto ed è arrivato fino in Cassazione. Qui ha fatto presente che l'asilo gli era stato negato "in base a generiche informazioni sulla situazione interna del Pakistan, senza considerazione completa delle prove disponibili" e senza che il giudice avesse azionato il suo potere di indagine. Il reclamo contro il ministero dell'Interno, difeso dall'Avvocatura dello Stato, ha fatto centro.
Ricorso apripista La Cassazione, accogliendo dunque il ricorso di Alì, ha sottolineato che il giudice "è tenuto a un dovere di cooperazione che gli impone di accertare la situazione reale del Paese di provenienza mediante l'esercizio di poteri-doveri officiosi di indagine e di acquisizione documentale, in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate", e non di "formule generiche" come il richiamo a vaghe "fonti internazionali".
Il caso di Alì sarà ora riesaminato a Lecce. Quando chi richiede asilo allega "i fatti costitutivi del suo diritto", il giudice deve accertare "anche d'ufficio se, e in quali limiti, nel Paese di origine" dello straniero "si registrino fenomeni di violenza indiscriminata, in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, che espongano i civili a minaccia grave e individuale della vita o alla persona", e deve indicare le fonti prese in esame.
"Senza una simile specificazione - avverte la Cassazione, sentenza 11312 - sarebbe vano discettare di avvenuto concreto esercizio di un potere di indagine aggiornato".
L'asilo ad Alì era stato negato sulla base di "fonti internazionali" che parlavano di conflitto in Pakistan nelle zone del Fata e del Khyber Pakthunkwa, mentre per la sua regione di provenienza - non citata - si faceva riferimento a fonti Easo, l'Agenzia europea per l'asilo, che comunque definiva la situazione "assai instabile".
Per la Cassazione, inoltre, è "solo genericamente enunciata" la ragione per cui non è stata riconosciuta "una specifica rilevanza, alla stregua di conflitto generalizzato", al "suddetto livello di instabilità". E non si capisce "se tale sia l'opinione del tribunale ovvero l'attestazione tradotta dalle suddette fonti".
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