15.800 note per il Duomo di Milano / 7: "Taglio del marmo alla Cava di Candoglia"
Al via il crowdfunding per il restauro dellʼorgano milanese. Oggi parliamo del marmo escavato annualmente in primavera
Il nostro viaggio alla scoperta del Duomo di Milano prosegue con il marmo. Il 25 giugno 2019, gli operai della Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano hanno concluso il taglio nella Cava di Candoglia, da cui da 632 anni è cavato il marmo per la Cattedrale. Con un boato maestoso, vibrante nel cuore della montagna, è stato estratto il terzo dei tre blocchi, escavati annualmente in primavera, delle dimensioni di 50 metri cubi per un peso di 135 tonnellate circa.
Ecco da dove arriva il marmo per il Duomo di Milano
Il bisogno annuo di marmo per il Duomo si aggira intorno ai 150 metri cubi: di questi solo il 35-40% verrà poi effettivamente impiegato, risultando la rimanente parte un inevitabile sfrido di lavorazione. Quest'anno l'estrazione è stata particolarmente interessante: gli enormi prismi che si sono formati in cava, per la combinazione dei tagli naturali incontrati e di quelli artificiali introdotti, hanno forme meravigliose; in particolare, l’ultimo taglio ha regalato un monolite. La "fetta" appena estratta è caduta sul letto d’inerti pronta ad accoglierla in due momenti: una prima piccola frazione, dovuta ad una frattura interna del giacimento; poi un secondo blocco unico di marmo molto prezioso per le inusuali e considerevoli dimensioni.
Cosa si intende per coltivazione del marmo? Nel cuore della Val d’Ossola al confine fra Piemonte e Lombardia, affacciata sul versante meridionale delle Alpi e circondata da vie d’acqua (cinque laghi, sulle sponde del fiume Toce), sorge la frazione di
Candoglia, famosa fin dal XIV secolo per la coltivazione del marmo rosa impiegato in modo esclusivo per la costruzione del Duomo di Milano su concessione perpetua del Potestà Gian Galeazzo Visconti. Generazioni di uomini si sono avvicendati qui per trasformare questa brulla e selvaggia montagna in energia viva per la Cattedrale, mettendo manualità, antichi saperi e sudore al servizio della storia, dell’umanità e della natura.
Le prime notizie di attività estrattiva si collocano già in epoca romana, quando le cave erano situate in corrispondenza di affioramenti a fondovalle, più facilmente accessibili. Il filone di roccia metamorfica era però lungo e stretto, motivo per cui è stato necessario nel tempo salire di quota, trasferendo gli operai in base alle risorse, che si facevano spesso faticosamente raggiungibili.
Il percorso di estrazione del marmo attualmente si compone di 3 fasi:
perforazione, taglio e ribaltamento. Nella prima fase vengono effettuati i 4 fori (ognuno impiega circa 1 ora), prima in senso orizzontale e poi verticale, seguendo l’inclinazione della scistosità per avere meno scarto.
La velocità del taglio è dell’ordine di 12 mq/h ma varia in base ai minerali presenti nella roccia. Una volta concluso in taglio di base, di schiena e di lato, il blocco di marmo è isolato dal restante masso, quindi nei tagli verticali vengono introdotti cuscini idrodinamici, gonfiati mediante l’introduzione di acqua a pressione. Le spaziature vengono aumentate sino a che è possibile calare un martinetto oleodinamico con quale distanziare ulteriormente le labbra del taglio e causare il ribaltamento del blocco o di parti di esso, che vengono trasportate con un argano fuori dalla galleria e poi in segheria, dove subiscono la definitiva riquadratura. Con tale operazione, vengono eliminati i "difetti" del blocco, come inserti di pirite o quarzite, discontinuità o livelli caratterizzati da mineralizzazioni non gradite.
Gli "scarti" vengono quindi macinati in frantoio a mascelle con carbonato di calcio, ottenendo così un materiale reimpiegabile per il sottofondo stradale o le fondamenta edilizie. L’acqua usata durante il processo di taglio, viene depurata e filtrata, ne deriva carbonato di calcio purissimo e acqua cristallina che scorre verso valle. Conclusione, non esistono resti inutilizzati.
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