Michelangelo Mammoliti e il suo anno vegetale  

Chef due Stelle Michelin del ristorante e resort La Madernassa, la sua passione viscerale per l’orto, la serra e la natura scava nella memoria e nelle emozioni dell’uomo

Dalla parte della natura 

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 Amanita 
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Chef Michelangelo Mammoliti    -   Foto Alberto  Olivero 
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 Icterina 
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 Ristorante La Madernassa 
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 Bresaola
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Sul confine tra le Langhe e il Roero, zone d’Italia Patrimonio Mondiale dell’Umanità, si trova il Resort La Madernassa, che con i suoi 15.000 mq di giardino, orti, serre, filari di uva, frutteti e piante aromatiche, contribuisce a rendere unico un paesaggio che è uno scrigno di bellezze, di sapori e di profumi.

La camminata tra i glicini in fiore è un richiamo alle atmosfere impressioniste; il percorso aromatico è un risveglio dei sensi che vi farà apprezzare ancora di più le preparazioni dello chef Michelangelo Mammoliti; la torretta d’avvistamento offre una prospettiva meravigliosa che è una carezza alle Langhe e un abbraccio al Roero.

Passeggiare tra le piantagioni di frutta (pere, pesche, albicocche, fragole, mele, uva, cachi, nespole) e percorrere il sentiero floro faunistico, vi proietterà verso una dimensione naturale con cui spesso rischiamo di perdere il contatto. Alle spalle, un lungo e minuzioso lavoro di ricerca nato dall’unione di intenti della proprietà Luciana Adriano, Fabrizio Ventura e Ivan Delpiano e curato giornalmente dallo chef e dalla sua brigata.

L’orto è l’espressione più democratica del fare umano. Che tu sia un umile contadino che produce per la propria famiglia o uno chef che coltiva per il suo ristorante, l’orto ti restituisce sempre quello che tu gli hai dato con una qualità proporzionale all’attenzione e alle cure che gli hai dedicato”: è questo il pensiero del nostro chef Michelangelo Mammoliti.

Lui lo ha imparato da piccolo grazie al nonno, e se ne è innamorato da grande, quando ha iniziato il suo percorso formativo in giro per il mondo. Nelle cucine dei più grandi ha capito come il ritorno alla terra sia un aspetto che va al di là del taglio “green” che certe mode di oggi cavalcano. Avere il proprio orto non significa seguire un trend, ma è qualcosa di più profondo, che pesca lontano nella nostra memoria atavica. È rispetto per la natura, è prendersi cura di un piccolo spicchio di terra e fare in modo che ogni seme diventi l’espressione migliore di sè stesso. Ecco, coltivare ha a che fare con le radici, qualunque sia la nostra estrazione sociale.

Se l’orto è sinonimo di democrazia, la serra ne è la sua versione più elitaria. È un micro mondo con il suo clima e le sue regole, slegato dalla realtà in cui è inserito. Tutto quello che succede al suo interno è merito della mano dell’uomo. Qui convergono i frutti delle ricerche in giro per i 5 continenti, il risultato di più di 15 anni di studi, di letture, di test, di errori e di successi. Si può certamente dire che nella serra ci sono alcuni dei segreti che portano la guida Michelin ad accendere i riflettori sulla cucina. È come il portfolio dell’artista. È una bacheca dei trofei, in un certo senso.

Un solo singolo seme può contenere un viaggio in Thailandia, una visita inaspettata di un amico giapponese, l’eredità di un maestro francese, lo studio di una ricetta antica o una chiacchierata con un vecchio contadino.

L’orto

A La Madernassa ci sono due orti distinti ma adiacenti, con una superficie totale di 2 ettari e mezzo. Per Michelangelo auto prodursi ciò di cui ha bisogno in cucina, nella realizzazione dei suoi piatti, è l’unica strada da seguire per ottenere quel risultato estetico e organolettico che fanno della sua cucina un’eccellenza non solo delle Langhe ma d’Italia.

In ogni stagione coltivo 80/90 specie vegetali diverse; 70 prodotti diversi provenienti da Italia, Thailandia, Perù, Messico, Vietnam, Sud America, Brasile e Giappone. Alcuni semi arrivano dai miei viaggi, altri me li faccio spedire da amici e colleghi che vivono sparsi nel mondo. Tante delle varietà che coltivo non si reperiscono nei mercati o dai produttori locali”: ci racconta lo chef tra una semina e un raccolto.

Ad ogni ciclo stagionale vengono messe a dimora 450 piantine di zucchine per 7 varietà, in un periodo che va da giugno ad agosto. Più di 75.000 mila semi di carote e 30.000 semi di barbabietole di 7 varietà diverse, solo per citarne alcune. La produzione inizia a febbraio con la semina e si arresta a novembre con l’inizio del periodo invernale.

7 è il numero che ho individuato per garantire il giusto apporto di varietà nelle mie ricette, mantenendo costante la qualità della mia produzione”: ci racconta lo chef Michelangelo Mammoliti.

La serra ha un’estensione di 120 mq e contiene un totale di 250 varietà di erbe e fiori commestibili. Le essenze provengono dal sud est asiatico, dalla Cina, dall’Italia, dalla Francia, America e Perù. Sia la serra che l’orto sono gelosamente custodite dallo chef Michelangelo Mammoliti e dal suo braccio destro Giorgio, lo “chef” del giardino e per esigenze contingenti ma soprattutto formative, anche la brigata di cucina sa come muoversi al suo interno.

La serra, attiva tutto l’anno, è nata dalla passione di Michelangelo per la natura, che è l’elemento a lui più congeniale. Fin da piccolo trascorreva le sue giornate libere con il papà a raccogliere erbe spontanee in montagna e intorno alla casa di famiglia ad Almese. Qui imparò a distinguere il tarassaco, a riconoscere l’aglio orsino o il dente di cane, ma soprattutto imparò come, in alcuni casi della vita, l’essere autodidatti porti spesso a conseguenze spiacevoli, anche se formative.

Una volta - avevo circa 15 anni - raccolsi un’erba, assolutamente certo di cosa fosse, ma mi sbagliai. E l’unica cosa che ne ricavai fu un mal di pancia terribile che ancora oggi ricordo nitidamente. Ecco perché dietro ogni mia scelta c’è prima di tutto lo studio. Perché quando in un piatto aggiungo un vegetale devo essere certo di quello che provocherà in chi lo mangerà”.

Fu proprio in quegli anni, quelli dell’adolescenza che si sviluppò la propensione dello chef al foraging, l’arte, così tanto di moda solo negli anni, di raccogliere il cibo selvatico, che si affinò successivamente grazie alle letture di pionieri come Francois Couplan, botanico, scrittore ed uno dei massimi esperti nel campo delle erbe selvatiche e commestibili, grazie al quale Michelangelo ha imparato a decifrare nel modo corretto le foglie, i fiori, dove trovarli e come coltivarli. Che sia per piacere o per lavoro, per Michelangelo un punto fisso rimane quello di capire cosa un determinato territorio offre al suo popolo, come un prodotto della natura viene consumato, quali sono le sue proprietà nutritive, le sue caratteristiche e soprattutto come fare a riportarlo a La Madernassa, nella sua serra.

La ricerca che c’è dietro ad ogni singolo piatto dovrebbe essere spiegata ad ogni cliente, affinchè chiunque ne capisca il valore vero, oltre al costo in carta che è il risultato di innumerevoli variabili, e apprezzi sopra ogni cosa la profonda conoscenza e l’infinita dedizione dello chef e della sua brigata alle materie prime. Questo è il compito dei ragazzi di sala del Ristorante La Madernassa: fare cultura intorno al cibo così come l’ha intesa lo chef in cucina.

“La mia cucina riflette ciò che trovo nell’orto. Non sono io che decido ma è la natura stessa il vero motore delle mie ricette. In base allo sviluppo delle piante e a ciò che producono, valuto le mie preparazioni. È come avere una immensa tavolozza di sapori da cui potere attingere, ma bisogna sapere qual è il momento corretto per raccogliere”: ci spiega ancora lo chef.

Oggi il giardino, nelle sue declinazioni dell’orto e della serra, è per Michelangelo un’esigenza prima di tutto personale, viscerale, e secondariamente culinaria. Ed è proprio questa una delle forze dello chef Mammoliti, avere fatto della sua più grande passione, uno stile di vita.

L’intervista a chef Michelangelo Mammoliti

Qual è la prima cosa che fa la mattina quando si alza?

È un gesto, quello di abbracciare la mia fidanzata Simona e di guardare il panorama “naturale” nel quale abitiamo la fortuna di abitare: le Colline delle Langhe e del Roero.

Quando inizia la Sua giornata tipo e quando finisce?

Premettendo che molto dipende dal periodo dell’anno, la mia giornata tipo inizia alle 7 del mattino e termina verso le 2. La mattina mi dedico all’orto – per raccogliere le erbe e i vegetali nel loro momento migliore, d’estate mi capita anche di iniziare prima – poi è il momento di un caffè e di un briefing con la brigata di cucina e di sala. Prima del pranzo mi occupo della mise en place insieme ai ragazzi oppure della semina nell’orto e, verso le 11:30, dell’assaggio di ogni preparazione della cucina e della pasticceria. Dopo la nostra pausa pranzo, è il momento del servizio, che termina generalmente alle 16. Nel pomeriggio faccio in modo di avere il tempo per allenarmi con la bici su strada o mountain bike – una fra le mie più grandi passioni - dopodiché faccio ritorno al ristorante: prima per il servizio serale e, ora, per controllare le erbe nella serra. A fine serata raggiungo la mia compagna a casa. 

Un ingrediente di cui non può fare a meno?

Gli agrumi, perché sono una passione innata, alla quale la mia famiglia di origini calabresi è da sempre molto legata. Ho due tipologie in particolare che prediligo in cucina: il kaffir lime e il bergamotto. Il primo mi ricorda i viaggi in Thailandia che ho fatto in coppia e il secondo la terra di cui è originaria la mia famiglia, la Calabria, e l’acqua di colonia Calabresella, proprio aromatizzata al bergamotto, che era solito usare mio nonno. In cucina, invece, due esempi di piatti in cui li ho utilizzati sono Iodio, in cui ho arricchito la dolcezza degli scampi con kaffir lime, sedano, mela, polpa di mela verde, yuzu, fiori ed erbe, e Ultraviolet, un primo piatto a base di ravioli di Plaisentif, un formaggio tipico dell'alta Val Chisone e dell'alta Val di Susa, con emulsione al crescione e foglie di cannella profumate al bergamotto.

Qual è il primo piatto che ricorda di aver cucinato?

Il risotto allo zafferano. Avevo circa 10-11 anni e ho un ricordo legato alla preparazione che ne faceva mia nonna al ristorante, dove all’epoca, muovevo i primi passi. Insieme al risotto alla parmigiana, è stato uno dei piatti che ho imparato a cucinare prima fra tutti.

E quale ha avuto più successo?

Lo Spaghetto cotto in estrazione di prosciutto di Cuneo al bbq, per il quale alcuni clienti sono venuti apposta, al ristorante, da tutto il mondo. La ricetta è nata con l’idea di voler ricreare un gusto che mi ricorda la mia ’infanzia – le braciole di maiale che preparava mio padre – e credo che il successo di questo piatto debba essere attribuito proprio all’universalità del gusto, che suscita un’emozione piacevole a chiunque lo assaggi.

Descriva la Sua cucina in tre aggettivi.

Naturale, Emozionale e Comprensibile. Naturale perché è basata sugli elementi della natura in tutte le loro vesti – dalla frutta alla verdura passando per i fiori e le erbe – emozionale, perché suscita ricordi legati a momenti di piacere passati, e comprensibile perché è una cucina di concentrazione, che punta sull’immediatezza dei sapori.

Se fosse un film, che film sarebbe?

“Amore, Cucina e Curry”, perché è un film che parla di cucina e perché nella stessa sono indispensabili l’amore - questo lavoro richiede tanta dedizione - e la piccantezza, per dare vivacità.

Se fosse una canzone, che canzone sarebbe?

“Can’t Stop” dei Red Hot Chili Peppers, uno dei miei gruppi preferiti, perché credo che in cucina sia fondamentale anche un po’ di rock.

Qual è il giudice che teme di più?

La mia famiglia, perché non mi vede come un cuoco ma come un figlio. Se a mia mamma non piace una mia preparazione, non si fa alcun problema a dirmelo, a differenza dell’approccio solito della clientela.

Qual è il Suo ristorante preferito?

Ne ho molti, ma uno in particolare è speciale. È La Vague d’Or a Saint Tropez, dove ho consumato una delle mie ultime cene fuori prima del fermo. La cucina è guidata dallo chef Arnaud Donckele, che ha un approccio molto personale alla cucina della Costa Azzurra e molto legato alla natura. Credo vi siano molti punti in comune con la mia cucina.

Qual è un Suo difetto?

Sono troppo analitico. Ripenso troppe volte alle situazioni passate, sia in cucina, sia in contesti differenti da quello lavorativo.

E un Suo pregio?

La determinazione. È senza dubbio il mio punto di forza, quello che mi ha permesso di raggiungere qualsiasi risultato mi sia posto fino ad oggi, anche nella mia grande passione, la bici.

Cosa avrebbe fatto se non avesse fatto il cuoco?

Credo il giardiniere, perché è un mestiere che mi permette di stare in mezzo alla natura, di lavorare con prodotti vegetali e di avere libertà di ricerca.

Di Indira Fassioni