
"Lavorare per 47 anni? Dipende da noi". Se si parla di pensioni, è pressoché automatico pensare a Elsa Fornero, già ministro del Lavoro nel Governo Monti e artefice della riforma previdenziale più incisiva della storia recente del Paese. E nel momento in cui appare all'orizzonte una ulteriore stretta sulle condizioni del ritiro dal lavoro, la professoressa torinese evita polemiche "retroattive" e si concentra su quelle che possono essere cause e possibili soluzioni di un fattore che può pesantemente condizionare i prossimi decenni. "Credo che tutto dipenderà dalle scelte che si faranno su istruzione e lavoro - ha spiegato a Tgcom24 - la vita delle persone, in senso economico, si divide nei periodi dell'istruzione, del lavoro che ti consente l'indipendenza e quindi del ritiro in cui poi sono importanti anche i risparmi accumulati oltre al trattamento pensionistico. Ma se il percorso dell'impiego diventa sfortunato, poco pagato, interrotto come spesso capita soprattutto alle donne, come si faranno ad avere buone pensioni? Già c'è l'effetto derivante dalla demografia, che porterà sempre meno giovani. E se non investiamo su di loro, le pensioni - a dispetto di qualsiasi problema - non potranno essere buone. Le pensioni dipendono dal lavoro, semplicemente".
Giovani da supportare con nuove e profonde modifiche strutturali: "Parto dal presupposto - continua Fornero - che ciò che ha sostenuto l'economia italiana in questi ultimi anni sia venuto soprattutto dall'estero, attraverso il Pnrr e attraverso le esportazioni che riusciamo ancora a fare. Nel 2027, il piano europeo finirà. Con che cosa lo sostituiremo? L'unica via è puntare sulle ultime generazioni, sulla scuola, con obiettivi precisi, come per esempio arrivare almeno a un 40% di laureati in un ciclo più o meno decennale. Con lo stesso impegno, con lo stesso dettaglio che è stato dedicato al Pnrr. Dunque scuola, lavoro, politiche attive che riescano a fare incontrare domanda e offerta. E poi i giovani vanno anche motivati: il messaggio che deve passare è che il lavoro non è solo fatica, ma indipendenza e soddisfazione". Motivazione che valga anche per rimanere nel nostro Paese, dove, peraltro, il paradosso è che la fame di specializzati da parte delle aziende è grande. "Un milione di posti di lavoro vacanti? E' una questione non solo salariale, anche se gli stipendi in Italia sono bassi. A volte è colpa di imprese che esagerano, di una produttività bassa anche perché il livello di istruzione e competenze non è all'altezza. C'è sicuramente un problema di formazione. E di impegno delle imprese a pagare adeguatamente specie se il Governo sarà disposto a fornire risorse per gli investimenti. In questo momento c'è un sistema dove spesso un giovane italiano non conosce, non sa quale possono essere le sue prospettive di carriere. All'estero si ha subito un'idea più precisa di carriera. Sono pagati meglio e possono tracciare anche prospettive di una casa, di una famiglia".
Una ricetta praticabile? Per l'ex ministro è "abbandonare innanzitutto la logica dei bonus. Rispondono a una logica emergenziale, come se fosse sufficiente tamponare una situazione di difficoltà immediata. Bisogna invece pensare al futuro con un piano dedicato alle nuove generazioni che, sottolineo, dovrebbe essere bipartisan. Le politiche del futuro non si possono imbastire pensando alle prossime elezioni, si studiano con un orizzonte di 10 anni o oltre. E sarà importante incentivare anche gli scambi, che sono estremamente formativi: anche noi dovremmo cercare attrarre giovani di altri Paesi importanti come Francia o Germania. Spero che con la buona volontà di tutti e un po' meno di risentimento ce la si possa fare".