La mostra “Manet. Ritorno a Venezia” nasce della fattiva collaborazione tra il Musée d’Orsay di Parigi e la Fondazione Civici Musei di Venezia con lo scopo, ben evidenziato nel progetto di Guy Cogeval e Gabriella Belli, commissari generali dell’esposizione, di presentare per la prima volta in Italia una rassegna di alto profilo scientifico sul grande pittore francese, tra i più geniali interpreti del rinnovamento delle arti visive nella seconda metà del secolo XIX.
Frutto di un’idea inedita quanto originale di Guy Cogeval, Presidente del Museo parigino, e della sua speciale sensibilità storico-critica, la mostra presenta in un originalissimo percorso espositivo un nucleo di opere davvero straordinarie, generosamente prestate dal Musée d’Orsay, tra cui ricordiamo, tra le altre, Angelina (1865), La Lecture (1865/1866-1873), Le Fifre (1866), Le Balcon (1868-1869), Sur la plage (1873), Portrait de Stéphane Mallarmé (1876), Lola de Valence (1862-1863, modificata dopo il 1867), quest’ultima superbamente restaurata per l’occasione.
A questi capolavori si uniscono altri importanti dipinti provenienti da Stati Uniti, Gran Bretagna e Germania e, in via del tutto eccezionale, la straordinaria tela di Olympia (1863), sempre di proprietà del Musée d’Orsay, un dipinto mai uscito dalla Francia, opera fondamentale per comprendere il particolare taglio critico dell’esposizione, che indaga l’anima italiana di Manet, per la prima volta messa a confronto con la Venere di Urbino di Tiziano, prestata dagli Uffizi.
Il progetto vede dunque non solo la collaborazione di due istituzioni museali ma anche il consolidarsi di una quasi decennale partnership tra le rispettive direzioni scientifiche, che hanno condiviso un piano di ricerca di particolare interesse per la novità dell’indagine storico-critica che la rassegna mette in campo. L’esposizione e il ricchissimo catalogo, infatti, esplorano per la prima volta in maniera completa il tema dell’influenza dell’arte antica italiana sull’opera di Manet, un rapporto non certo occasionale, come spesso la critica ebbe a scrivere, ma profondo e determinante per il suo lavoro, che trovò fondamento nei tre lunghi soggiorni di studio a Venezia, Firenze e Roma negli anni 1853, 1857 e 1874, e, prima ancora, nel tirocinio giovanile al Louvre, dove Manet ebbe la prima rivelazione della pittura italiana.
La grande novità che Guy Cogeval ha voluto mettere in campo in questa esposizione, curata da Stéphane Guégan, non si limita alla documentazione dell’influenza avuta dalla pittura rinascimentale sull’opera di Manet, ma è soprattutto nella dimostrazione di quanta modernità l’antico spirito dei maestri veneziani e fiorentini portò nella sua pittura, in mostra esposta a un inedito confronto con alcuni capolavori del Quattro-Cinquecento come la preziosissima Venere di Tiziano (1538), che per la prima volta dialoga vis-à-vis con Victorine Meurent, la modella che interpreta al massimo grado di sfrontatezza la bella prostituta Olympia, sicuramente la rivale più emancipata che la storia dell’arte abbia mai contrapposto alla sensuale cortigiana di Tiziano.
Ma altri ancora sono i pittori con cui Manet si confronta nell’itinerario espositivo, allestito con grande intelligenza da Daniela Ferretti nell’Appartamento del Doge in Palazzo Ducale: opere come l’Antonello del Cristo morto sostenuto da tre angeli, il Lorenzo Lotto del celebre Ritratto di giovane gentiluomo nello studio, le Due dame veneziane di Carpaccio, un quadro che trova una felice corrispondenza con il capolavoro di Manet Le Balcon, e, ancora, il superbo ciclo di tele di Tintoretto che invade di sé ogni angolo del Palazzo: tutti dipinti capaci di avvalorare l’inedita proposta di rilettura critica dell’opera del pittore francese, che nel ritorno a Venezia, a oltre centocinquantaanni dal suo primo soggiorno, ritrova la sua troppo spesso sottaciuta identità italiana. Gabriella Belli, Direttore Fondazione Musei Civici di Venezia
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