"E' stato un errore, era un gioco ma mi è sfuggito di mano". Parla, per la prima volta, il 16enne creatore di "Shoah Party", il gruppo su WhatsApp che inneggiava a Hitler e all'Isis, e dove un gruppo di adolescenti era arrivato a scambiarsi video pornografici. "A un certo punto ho provato ribrezzo, cancellavo i file ma non sono uscito" aggiunge il ragazzo, che oggi vorrebbe nascondersi per la vergogna ma non può farlo. Deve, anzi, "metterci la faccia".
Il ragazzo, parlando a La Repubblica sotto lo sguardo della mamma e dell'avvocato, ha ricostruito le fasi che hanno portato a una escalation terribile che, inevitabilmente, avrà gravi conseguenze. "Ho creato la chat e ho detto: 'Entrate e fate battute'. Non ho messo nessun limite, pensavo che sui social e su Internet ognuno fosse responsabile solo per sé". E, invece, lui era l' "amministratore" di quella chat. Prova vergogna, ma il danno è fatto e (forse) 16 anni sono pochi per rendersi "davvero" conto di aver combinato un guaio grosso, molto grosso, con quel cellulare in mano. Perché, di fatto, il risultato è stato quello di dare spazio a gruppo in cui ragazzini dai 13 anni in su che si scambiavano video con violenze sui bambini e battute atroci, nazismo e insulti a migranti e disabili. Una chat creata da un ragazzo "appassionato di fisica quantistica" che "sogna di fare il medico".
Ma di era stata l'idea? E quando era stato creato il gruppo? "L'idea mi era venuta dopo aver visto una pagina Instagram di black humor di un mio amico. Ho preso questo argomento e l' ho spostato su WhatsApp perché la gente con la stessa passione si potesse incontrare. Idea mia e di un mio compagno di classe. Si doveva ridere e scherzare. ma tutto è sfuggiro di mano". Quanti messaggi al giorno?
"C' erano giorni che arrivavo da scuola e ne trovavo 600, arrivavo a 2.000 notifiche. Ma cancellavo, non guardavo tutto, c'era roba assurda. Io ho Internet solo a casa, se ero fuori non potevo vederle". Però ha il cellulare. E la domanda sorge spontanea: i genitori non sapevano nulla? "Ogni tanto controllavano il mio telefono, ma senza accorgersi di niente. Ho il cellulare dalle medie, ci faccio i compiti, le ricerche. A me interessa la fisica quantistica".
Fino a quando, alle 4 del mattino, sono arrivati i carabinieri a suonare alla porta di casa: "All'inizio non ho collegato. Poi hanno pronunciato quella parola: pedopornografia, e ho capito. Ho letto le accuse: mi sono sentito svenire. Da allora non dormo la notte, ho vomitato per l' ansia. Sono pentito, so che ho sbagliato: ora andrò dallo psicologo, starò lontano per un po' dal cellulare e per sempre dalle chat".