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Guerra in Siria, allarme foreign fighter: tra gli europei nelle carceri curde anche cinque italiani 

Monta la preoccupazione  sui combattenti Isis che possono tornare a casa dopo i bombardamenti delle prigioni al confine. Tre le Lady Jihad che hanno già fatto richiesta di rientro a Roma: "Siamo pentite"

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Da subito, fin dalle prime offensive turche in Siria, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha lanciato l'allarme sulle migliaia di foreign fighter attualmente sotto il controllo curdo che potrebbero essere liberati. E intelligence e antiterrorismo italiani stanno seguendo con la "massima attenzione" gli sviluppi della crisi siriana. Perché sarebbero 2.200 i combattenti Isis europei nelle carceri curde che possono rientrare a casa. Cinque gli italiani sotto osservazione; tra loro le tre Lady Jihad che da tempo chiedono di poter tornare, assicurando: "Siamo pentite".

L'allerta dei servizi - Monitoraggio costante dei soggetti che hanno avuto a che fare direttamente con il nostro Paese o che sono transitati in Italia; continui scambi d'informazioni con i servizi segreti collegati; controlli discreti e mirati ai varchi di frontiera. Così l'intelligence e l'antiterrorismo italiani, pur senza alzare i livelli d'allerta e non avendo al momento segnali particolari, stanno seguendo con la "massima attenzione" gli sviluppi della crisi siriana. Non escludendo, come hanno già fatto altri Paesi, il rischio che l'avanzata turca nel Kurdistan possa consentire a migliaia di jihadisti dell'Isis di fuggire dai campi dove sono detenuti e tentare di rientrare in Europa.

I foreign fighter italiani - Dagli ultimi dati delle autorità di sicurezza emerge che i foreign fighter italiani o i soggetti che comunque hanno avuto a che fare con il nostro Paese e poi sono andati a combattere in Siria e Iraq al fianco delle formazioni jihadiste sono poco più di 140. Ma una cinquantina di questi, si apprende da fonti qualificate italiane, sono morti. In vita ne rimangono dunque poco più di 90 e tra loro, sottolineano le fonti che li tengono costantemente sotto osservazione, meno di una decina si troverebbero nei campi nel nord della Siria.

I numeri "esigui" dei foreign fighter italiani, fanno però notare le stesse fonti, non cancellano certo il problema. Perché "l'Italia è Europa" e dunque chiunque tra le migliaia di persone detenute riesca a fuggire dai campi nel nord della Siria - italiano o meno - potrebbe tentare di entrare nel nostro Paese. Che già in passato, tra l'altro, è stato utilizzato come terra di passaggio per diversi combattenti europei che dai loro Paesi d'origine hanno raggiunto i teatri di guerra. Utilizzando, soprattutto, il porto di Bari e il confine tra l'Italia e la Slovenia. Ecco perché lo scambio d'informazioni con le intelligence collegate, sia occidentali che mediorientali, diventa fondamentale per prevenire eventuali rientri e per monitorare ogni possibile sviluppo.

Cinque i nomi sotto osservazione - Alice Brignoli è tra le mogli dell'Isis che parteciò alla rivolta di Al Hol e in quel campo si trova detenuta da mesi con i tre figli. Quarantatré anni, orginaria del Lecchese, si era convertita all'islam quattro anni fa e con il marito marocchino cresciuto a Lecco, Mohamed Koriachi, aveva raggiunto la Siria unendosi allo Stato islamico e volendo trasformare i suoi bimbi in soldati. Da tempo chiede di tornare in Italia. Con lei, l'altra Lady Jihad in prigione a Al Hol, la padovana Meriem Rehaily, 23 anni e due figli, con una condanna di 4 anni del tribunale di Venezia, fuggita nel 2015. La trevigiana Sonya Khediri, che partì per la Siria a 17 anni, si troverebbe invece nel campo di An Issa con i suoi due bambini, mentre ha perso il marito in combattimento.  Entrambe, Meriem e Sonya, si dicono pentite. Ha già ammesso di "aver sbagliato", partendo nel 2015 per la "guerra santa contro i crociati", anche l'italo-marocchino Mounsef Hamid Almukhaiar. Non si hanno più notizie da due anni di Maria Giulia Sergio, che è forse morta in battaglia. 

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