Cina e Hong Kong, continua la bufera: Google elimina dal suo store un gioco sulle proteste di piazza
Nato dalle manifestazioni e sfociato in ripercussioni commerciali su brand come Apple o Nba, il conflitto ha assunto ormai una dimensione planetaria
Continua l'onda d'urto delle manifestazioni di piazza ad Hong Kong contro la legge sull'estradizione del governo cinese. Il colosso dell'informazione Google ha eliminato dal Play Store di Android il gioco The Revolution of our Times, dove l'utente può controllare uno dei protagonisti impegnati nelle proteste. L'applicazione, che al momento della rimozione era già stata scaricata da più di mille utenti, è stata cancellata dal colosso informatico per aver violato la regola dello store che vieta il “tentativo di ricavare profitto da eventi sensibili come un conflitto in corso”.
I colossi tecnologici si tutelano - Le proteste dei cittadini di H ong Kong rappresentano ormai solo il primo tassello di un conflitto combattuto tra potenze politiche e non su differenti sfere di interesse. La rimozione di un'app dal negozio digitale di Google ricalca la decisione presa da Apple di rimuovere dal proprio store Hkmap, un programma di crowdsourcing attraverso il quale i manifestanti erano in grado di comunicare in tempo reale gli spostamenti delle forze dell'ordine. Sebbene lo strumento non sia stato eliminato del tutto (è ancora consultabile all'indirizzo hkmap.live, in foto), la Mela morsicata ha deciso di rimuovere l'app perché "utilizzata per minacciare la sicurezza pubblica".
Anche l'azienda produttrice di videogiochi Blizzard Entertainment ha dovuto fare i conti con i problemi nati dopo le proteste di Hong Kong. Un videogiocatore professionista del gioco Hearthstone è stato bandito dai tornei e-sports per 12 mesi dalla stessa casa produttrice, dopo aver espresso in un live streaming delle posizioni a favore dei manifestanti. In seguito alla decisione, molti utenti hanno protestato eliminando in massa i loro account, costringendo la Blizzard a sospendere la funzione di cancellazione.
Il mercato mondiale si piega alla Cina - Se la sfera tecnologica tenta di rispondere alla tirannia di Pechino, sul piano commerciale l'ex Celeste Impero sembra esercitare un potere smisurato. Il brand di alta gioielleria Tiffany & Co. è stato costretto a sospendere la promozione di una campagna pubblicitaria nel Paese per uno scatto in cui la posa di una modella - con una mano davanti al volto a coprire l'occhio destro - è stato interpretato dagli utenti del social network cinese Weibo come allusivo alle violenze messe in atto dalle forze dell'ordine.
Altri brand relativi al mondo dello sport, sulla scia della bufera nata dal tweet del general manager della squadra Nba degli Houston Rockets, hanno preso provvedimenti per evitare ripercussioni nel mercato asiatico. La Nike ha eliminato dai suoi store in Cina il merchandise relativo alla squadra di pallacanestro texana, mentre il brand di calzature sportive Anta, che vanta testimonial nel mondo della palla a spicchi come Klay Thompson e Rajon Rondo, ha immediatamente interrotto i contratti di sponsorizzazione tecnica con gli atleti. Stessa decisione messa in atto da Li-Ning, marketing partner ufficiale della lega statunitense di pallacanestro.
Anche la Fifa è scesa in campo a favore della Cina con una sanzione ai danni della federazione calcistica nazionale di Hong Kong. La motivazione? Durante il match contro l'Iran, valevole per le qualificazioni alla Coppa d'Asia, i tifosi della nazionale hanno fischiato l'inno cinese ( Glory to Hong Kong non è riconosciuto dalla federazione come inno in quanto la città è considerata una regione amministrativa cinese) durante la presentazione delle squadre. Alla federazione è stato presentato un reclamo ufficiale, oltre ad una multa di 15mila dollari americani.
La censura dei mezzi di comunicazione - L’ultima sfera a scendere in campo nel conflitto tra Hong Kong e Cina, coinvolgendo come in altri ambiti gli Stati Uniti, è stata quella mediatica. Alla manifestazione di vicinanza ai manifestanti di Hong Kong espressa dal numero uno degli Houston Rockets, Pechino ha risposto oscurando dal canale di Stato Cctv le partite della massima serie americana di basket. Inoltre, alcuni eventi mediatici targati Nba Cares - tra tutti il match di pre-season tra Los Angeles Lakers e Brooklyn Nets, che doveva disputarsi proprio in Cina - sono stati in un primo momento cancellati, salvo poi avere il via libera dal governo per lo svolgimento.
A gettare ulteriore benzina sul fuoco sul duro sistema di repressione cinese ci hanno pensato i padri del cartoon satirico
South Park. Nell'episodio
Band in China, possiamo osservare le vicende di un produttore di Hollywood alle prese con la realizzazione di un film. Durante la puntata, vengono derise le numerose norme a cui l'industria cinematografica è costretta a sottostare per non incappare nella censura da parte del governo di Pechino. Quasi per effetto di una dantesca legge del contrappasso, l'episodio è stato censurato e cancellato dal palinsesto televisivo del Paese asiatico.
Le reazioni politiche - La vicenda Nba ha destato l'interesse di alcuni esponenti della politica americana, che hanno fortemente criticato la decisione della federazione Nba di condannare le parole del manager di Houston definendole "deplorevoli". Il senatore texano Ted Cruz, vicino alla squadra, lo ha dichiarato "un passo indietro della lega per cercare di non perdere i soldi cinesi"; il deputato del New Jersey Tom Malinowski ha invece accusato la Cina di "utilizzare il suo potere economico per censurare il dialogo anche in America". La risposta di Pechino si è dimostrata lapidaria: tramite la televisione di Stato, la Repubblica Popolare ha fatto sapere che "qualsiasi affermazione che metta in discussione la sovranità nazionale e la stabilità sociale non rientra nell'ambito della libertà di espressione".
SU TGCOM24