IN MOSTRA A MILANO

Filippo de Pisis: la pittura come miraggio della realtà

L’artista ferrarese in mostra al Museo del Novecento di Milano

di Lorella Giudici

Una conchiglia, una candela, una scatola, due pesci… sono solo alcuni degli oggetti che popolano le belle nature morte che Filippo de Pisis (Ferrara 1896 - Milano 1956) adagia su spiagge deserte, lungo mari solcati da barche solitarie e sormontati da cieli impalpabili e turgidi di malinconia. Con il passare degli anni, il contorno delle cose già sottile e fragile, si sfalda, le pennellate diventano libere e leggere, sfarfallano senza più interessarsi della forma, sedotte e inebriate dall’aria e dallo vastità dello spazio. “Un paradiso provvisorio” si spalanca davanti ai nostri occhi e in questa rivelazione persino i palazzi di Venezia o le strade di Parigi perdono di consistenza, di volume e di rigore architettonico.

De Pisis non dipinge la realtà, ma un ricordo, un miraggio, una visione. Così come gli oggetti che dispone sulla spiaggia non si interrogano sulla loro esistenza, ma nella vibrazione dei loro perimetri ne restituiscono tutto il mistero e appaiono in un tempo che non è quello reale, allo stesso modo i fiori che raccoglie in sottilissimi e esili bicchieri di vetro sono l’emblema della precarietà, la testimonianza di un’irreversibile caducità di tutte le cose. Per de Pisis il tempo è eterno presente, è istante labile e assoluto. E il suo stile “stenografico” (la definizione è di Brandi) quell’attimo lo coglie in tutta la sua delicatezza, ma in maniera diversa dagli impressionisti perché non lo lega tanto alla luce quanto alla poesia e alla filosofia dell’essere. I colori, che si stendono acquosi per buona parte dello spazio, a tratti invece si increspano in pennellate cremose, come fossero uscite direttamente dal tubetto. I toni sono per lo più polverosi, nelle gradazioni dei verdi, dei rosa, dei viola, dei marroni e degli azzurri, ma capaci di inaspettate punte di rosso sanguigno, di arancio solare o di verde intenso, che in un attimo accendono tutta la composizione. 

Poeta, pittore dal talento versatile e viaggiatore instancabile, de Pisis ha vissuto e lavorato a Milano, Roma, Venezia, nel Cadore, ma soprattutto a Parigi e a Londra. Nel corso della sua carriera è ricorso a un’incredibile varietà di soggetti, sempre filtrati dalla sua personale narrazione e senza mai uniformarsi a uno stile che non fosse il proprio: vivaci vedute cittadine, paesaggi ariosi delle montagne a lui care, intensi ritratti capaci di cogliere la personalità della figura descritta e inusuali combinazioni di nature morte. Una novantina di sue opere sono ora visibili al Museo del Novecento di Milano (fino al 1° di marzo) in un’ampia retrospettiva curata da Pier Giovanni Castagnoli con il supporto di Danka Giacon, conservatrice del Museo. L’esposizione è suddivisa in dieci sale e raccoglie oltre 90 dipinti tra i più ‘lirici’ della sua produzione e provenienti da prestigiose collezioni museali italiane e europee.

Il percorso cronologico introduce e dispiega il mondo di de Pisis, dagli esordi del 1916, in cui risuona l’eco dell’incontro con la pittura metafisica di de Chirico, fino al periodo drammatico dei lunghi ricoveri nella clinica psichiatrica di Villa Fiorita all’inizio degli anni Cinquanta. In un continuo gioco di rimandi tra parola e colore, tra poesia e pittura, la rassegna ripercorre anche i temi cruciali della poetica del maestro ferrarese, attraverso accostamenti di vedute urbane, nature morte e seducenti fantasie marine: da Le cipolle di Socrate (1926) del Museo di Grenoble a Natura morta isterica (1919), a Ring Square (1935) della collezione Augusto e Francesca Giovanardi, a Soldatino francese (1937) del Museo d’Arte Moderna Mario Rimoldi - Regole d’Ampezzo di Cortina, fino al Gladiolo fulminato (1930) proveniente dalle collezioni ferraresi, solo per citare alcuni dei capolavori esposti.

Dalla primavera del 2020, l’esposizione sarà ospitata al Museo Nazionale Romano di Palazzo Altemps, nell’ambito del programma dedicato all’arte del Novecento italiano, con l’aggiunta di una selezione di carte e di acquerelli a documentazione della sua riflessione sull’antico.