Conciliare studio e lavoro? Un “esercizio”, peraltro molto utile ai fini dell’inserimento futuro nel mercato occupazionale, a cui a quanto pare si dedicano tanti giovani europei: secondo un recente report Eurostat, nel 2023 tra i cittadini dell’unione di età compresa tra i 15 e i 29 anni, ben uno su quattro ha affiancato percorsi educativi formali all’attività lavorativa.
Il portale Skuola.net fa notare, tuttavia, che in Italia questa attitudine non sembra trovare terreno fertile, visto che siamo tra quelli che trainano di più in basso il dato: da noi la proporzione degli studenti "multitasking" si ferma a un modesto uno su tredici, il 7,6%.
Concentrarsi sugli studi non si traduce in risultati ottimali
A peggiorare la situazione, poi, c’è il fatto che questa dedizione pressoché esclusiva agli studi non è che alla fine si rifletta in risultati scolastici e accademici eccellenti. Bastano pochi dati per capirlo. Nel nostro Paese, ad esempio, solo il 30% dei nostri under 35 è in possesso di una laurea (o di un titolo equiparabile), a fronte di una media UE che supera il 40%; lo ricorda sempre Eurostat.
In più, alle nostre latitudini è elevatissimo pure il tasso di abbandono universitario: secondo l’ultimo rapporto AlmaDiploma, circa il 10% dei nostri giovani che si iscrivono a un corso di laurea molla entro il terzo anno e attorno al 15% cambia facoltà. E, quando si tratta di fare il bilancio definitivo, quasi la metà degli immatricolati non vede il traguardo.
Infine, gli universitari italiani ci mettono pure tantissimo per conseguire il titolo: la laurea lavorativamente più appetibile - quella di secondo livello - arriva mediamente a 27 anni (un percorso lineare la vorrebbe verso i 24 o al massimo 25 anni).
I paesi del Nord Europa quelli in cui si lavora di più sin da giovanissimi
Ma la distanza e l’apparente incomunicabilità tra mondo della formazione e mondo del lavoro non sono fenomeni che riguardano da vicino solo noi. L’indagine Eurostat mostra grandi differenze tra le nazioni. Il dato generale, più specificatamente, parla del 25,7% dei giovani studenti europei - tra i 15 e i 29 anni - che ha una qualche forma di occupazione parallela. E un altro 2,9% è alla ricerca di un lavoro. Il 71,4%, invece, è ancora fuori dal “mercato”.
Ci sono, però, degli Stati in cui ci si impegna nettamente meglio. Al vertice si stagliano i Paesi Bassi, dove a lavorare durante gli studi è addirittura il 74,5% degli under 30. A seguire troviamo, quasi appaiate, Danimarca (52,6%) e Austria (46,2). Sopra la media UE anche Finlandia e Germania, entrambe oltre il 40% di studenti-lavoratori. Poco sotto si piazzano Irlanda, Svezia, Estonia e Malta, comunque oltre il 30%.
D’altro canto, sono tanti i Paesi - tra cui purtroppo l’Italia - che spiccano per pigrizia: oltre al nostro modesto 7,6% vanno segnalati il 2,3% della Romania, il 5,8% della Slovacchia, il 6,1% dell’Ungheria. Numeri simili per Bulgaria, Grecia e Croazia. Dopodiché ci siamo noi. Che, a conti fatti, ci lasciamo dietro solamente sei nazioni. Non proprio il viatico migliore per avere, in prospettiva, una forza lavoro pronta a confrontarsi con le sfide che la attenderanno.
“Da noi essere uno studente lavoratore - ricorda Daniele Grassucci, direttore di Skuola.net - rappresenta, nell’immaginario collettivo, una condizione più dettata dalle necessità che non da una scelta: quante volte i genitori hanno minacciato i propri figli poco volenterosi nello studio di mandarli a lavorare? Nei paesi scandinavi, ma anche nell’area germanofona, è invece una situazione molto comune: così non stupisce che siano anche le nazioni che mostrano tassi di occupazione migliori dei nostri".