Come tradizione vuole, Milano ha scelto il giorno di Sant’Ambrogio per inaugurare un momento importante della sua storia, l’apertura di Palazzo Citterio, e coronare, dopo mezzo secolo, il sogno della Grande Brera: un’estensione del corpo museale della nota Pinacoteca, ma anche un centro di ricerca e un luogo propositivo di mostre e di dibattiti artistici, storici e contemporanei.
Nei restaurati spazi di quello che nel Settecento era Palazzo Fürstenberg (divenuto poi Citterio), sono ora custodite oltre 200 opere, la maggior parte delle quali appartiene a due importanti nuclei: la collezione Emilio Jesi (che annovera capolavori di Boccioni, Carrà, Soffici, Rosai, Severini, de Pisis, Arturo Martini e altri) e l’eterogenea collezione Lamberto Vitali, con oggetti antichi, sculture e tavole medievali, ma anche numerosi dipinti di Giorgio Morandi, artista a cui lo studioso e storico dell’arte milanese aveva dedicato fondamentali studi. Inoltre, grazie alla generosità di Chiara Vitali, figlia di Lamberto, il nucleo morandiano in questi giorni si è arricchito di altri due importanti tele: Fiori del 1920 e un Paesaggio del 1943.
L’itinerario espositivo al momento si concentra al piano nobile dove, nella sala 40, in continuità con l’ultima parte del percorso della Pinacoteca di Brera, sono collocate importanti opere dell’Ottocento, a cominciare da Fiumana di Giuseppe Pellizza da Volpedo - uno dei bozzetti del Quarto stato -, fino alla monumentale Maternità Gaetano Previati, concessa in comodato dal Banco BPM e che sembra aver chiuso qui un cerchio, dopo che era stata esposta e tanto avversata alla Triennale di Brera del 1891. Suoi sono anche Il funerale di una Vergine, l’Adorazione dei Magi e, in prestito dalla Galleria nazionale d’Arte Moderna di Roma, la Creazione della luce (1913): una visionaria e incandescente versione della Genesi, che è anche metafora del nuovo secolo.
In un allestimento che tiene conto della storicità del palazzo e che ha disegnato le sale come fossero salotti, del Novecento s’incontrano capolavori di Boccioni, Modigliani, Bonnard, Picasso, Campigli, de Chirico, de Pisis, Arturo Martini, solo per citarne alcuni. A queste opere si aggiunge la raccolta degli Autoritratti minimi di grandi artisti del Novecento appartenuta allo scrittore, sceneggiatore e artista, Cesare Zavattini e le 23 Fantasie di Mario Mafai, visionaria serie di figurazioni di violenta e grottesca denuncia degli orrori della guerra, donate al museo da Aldo Bassetti, già presidente degli Amici di Brera.
Chiude il percorso la piccola sala dedicata a Léonce Rosenberg, mercante d’arte e mecenate parigino, che tra il 1928 e il 1929 aveva commissionato a un gruppo di artisti (fra cui Alberto Savinio, Gino Severini e Giorgio de Chirico) le decorazioni per il suo appartamento in Rue de Longchamp. Grazie ad acquisti di Stato, sono stati qui riuniti il fregio soprapporta con la Corsa di quadrighe di Giorgio de Chirico, i pannelli dipinti da Gino Severini (Coup de foudre e Demon du jeu) e il grande Cité des promesses di Alberto Savinio.
Nell’ipogeo del Palazzo (progettato da James Stirling), uno degli spazi più innovativi della ristrutturazione, pensato per ospitare mostre contemporanee, fino al 23 marzo 2025 è allestita una bella mostra di Mario Ceroli (1938, Castel Frentano) dal titolo La forza di sognare ancora, la frase che lo scultore ha inciso nella pietra all’ingresso del suo studio. Curata da Cesare Biasini Selvaggi, l’esposizione comprende 10 monumentali lavori site specific, tra cui non possiamo non menzionare Venezia: una foresta sotterranea di tronchi recisi (62 pini provenienti dal giardino della sua abitazione romana), a ricordare quelli che sorreggono gli storici palazzi dell’affascinante e misteriosa città lagunare, ai bordi dei quali non c’è però una gondola, ma la Barca di Caronte: un guscio vuoto e combusto, ormai inutile perché il mondo si è capovolto e l’inferno è quello che l’uomo sta compiendo sulla terra. Sulla parete opposta, due piccole ombre si tengono per mano e avanzano in un bosco di sottili rametti di bambù appiccicati su una grande tela bianca. Un’immagine fortemente evocativa, in bilico tra fiaba e realtà, tra la dolcezza della memoria e l’ansia del futuro.