Nicolò Valmarana, proprietario di villa Almerico Capra detta La Rotonda racconta a Tgcom24 l'ambizioso e lungo processo che ha portato la residenza palladiana alle porte di Vicenza a essere un luogo di pace e arte, per un pubblico sempre più vasto.
Chi è Nicolò Valmarana e da dove nasce il suo amore per il verde?
Non lo so ancora, meglio non saperlo o come si dice da queste parti, di me potrei dire che "hanno perso lo stampo". Il colore verde rappresenta il dinamismo. Una pianta vive secoli, diventa immensa, si prende dei periodi di riposo e poi ha dei momenti di grande esplosione. Noi uomini invece siamo sempre al massimo e soprattutto negli ultimi tempi ci prendiamo pochissimo riposo. Cerchiamo tutti una gratificazione più materiale che intellettuale. Guardando Villa La Rotonda quasi tutti vedono solo i costi di mantenimento e parlano dei costi di restauro. Per me invece, la villa e il Boschetto sono gratificazioni interiori. Sono i luoghi della mia anima che finalmente rivivono, che tornano a respirare ancora. Una proprietà è anche di per sé un incarico e vederne lo splendore nella gioia riflessa negli occhi della gente che viene a visitarli è la mia più grande gratificazione. Senz’altro un’eredità spirituale.
Com’è legata la tua famiglia a Villa La Rotonda?
Il nostro è un destino. La mia bisnonna, Giustina Cittadella Vigodarzere, non tollerava che un edificio come La Rotonda fosse abbandonato. In virtù dei contatti che nel 1910 aveva con la casa reale, ottenne dal Re, con decreto regio, di poter intraprendere l'azione di acquisto dell’edificato. Il Re rinunciava all'usucapione e la famiglia Valmarana poteva ricercare chi amministrava il bene o chi ne era ancora proprietario. La famiglia Capra era praticamente estinta o migrata in altre terre. Con fatica si trovò un cugino di sesto grado che abitava verso Verona e che firmò un atto di cessione. Quindi la mia bisnonna Giustina, vedova, con suo figlio Andrea, mio nonno, firmarono l’atto di acquisto il 12 Giugno 1912.
Stiamo parlando degli anni della Grande Guerra...
Mio nonno era ufficiale di cavalleria volontario e si fece cinque anni di guerra dal Grappa all’Isonzo fino alla finale Battaglia del solstizio. La guerra terminò il 4 novembre del 1918, lui però come ufficiale fu congedato alla fine del ‘19 quindi rientrò a Venezia. Durante la guerra aveva conosciuto Marina Galvagna che era Tenente della Croce Rossa. Si fidanzarono e, ritrovandosi, si sposarono. Ebbero sei figli. Mio padre, tre fratelli e due sorelle, tutti cresciuti alla Rotonda. Siamo tra gli anni Venti e gli anni Trenta e dopo la Seconda Guerra Mondiale la Rotonda era realmente "casa dolce casa". Negli anni ‘50 e ‘60 siamo arrivati noi, che siamo 18 cugini. Per noi La Rotonda è il fulcro della famiglia.
Ha un ricordo che racconti cosa significa vivere in un posto del genere?
Negli anni ’60 non c’erano visite, il costo della vita era completamente un altro, la gestione di un posto così era a livello casalingo. Oggi sono proprietario-custode-amministratore di una società di gestione che rappresenta la villa e che gestisce una stagione di visite che dura tutto l'anno. Non è che essere al servizio della villa significhi perdere il piacere di vivere in casa, però è stata una metamorfosi necessaria, quasi irreversibile: se si vuole mantenere una villa come questa in determinate condizioni di sanità e bellezza devi fare in modo che la villa sia fruibile al pubblico.
Come è avvenuto il passaggio da una casa privata a una dimora aperta al pubblico?
Non essendo stati né mio padre né mio nonno agricoltori, non hanno sviluppato i campi intorno alla villa o acquisito ettari di terreni per coltivare le vigne, ampliando così i loro possedimenti agricoli a Vicenza. Questo ha dato alla Rotonda un’impostazione di villa residenziale e non di azienda agricola da cui trarre un profitto.
Alle visite però oggi si accompagnano anche le produzioni di pasta e miele. Com'è andata?
Sono prodotti di merchandising, non possiamo assolutamente parlare di una filiera di un marchio in grado di coprire il territorio della città di Vicenza o della provincia di Vicenza. Però avere un prodotto a "metro zero" è una piccola cosa di grande soddisfazione. In futuro potrebbe essere qualcosa in più per una eventuale ristorazione stagionale.
Cosa vuol dire oggi essere proprietari di una residenza del genere?
Oggi bisogna essere attenti a ogni sfumatura. Devi percepire cosa richiede la villa e devi stare attento a quello che sarà il futuro. È stato così sia per il bonus facciate che è nato durante la pandemia: una Rotonda vuota poteva permettersi impalcature che se ci fossero state durante un altro periodo, con l’enorme numero di visite, sarebbero state una grossa interferenza. Ed è stato simile per il PNRR. Un proprietario deve aggiornarsi, investire in un potenziale che può svilupparsi anche nel tempo e non nell’immediatezza. La stessa città di Vicenza può essere interessata a questo luogo. Inoltre, un giardino ben curato richiama molte persone interessate alla vita all’aperto. Moltissimo pubblico è oggi attento ai luoghi verdi spontanei, in tanti visitano i giardini.
Con il bonus facciata ha restituito a Villa La Rotonda il suo splendore. Quali lavori avete effettuato?
Si è trattato di un intervento di manutenzione straordinaria. Un lavoro importante dopo l’ultimo grande restauro fatto con mio padre nel 2000, che ha riportato alla luce frammenti di marmorino originale di 450 anni. Le facciate in ombra erano molto sporche ma decisamente solide. Le facciate al sole invece erano molto pulite, ma estremamente fragili perché il sole cuoce. E cuocere un intonaco (grassello di calce) vuol dire sbriciolarlo. Tutto l'intonaco stava in piedi per miracolo, un gioco di castelli di carta, ma era completamente staccato dalla struttura portante. Quindi è stato molto più facile pulire quello che sembrava orrendo, ma era attaccato alla casa, piuttosto che la parte a sud: appena ci mettevi mano si sarebbe potuto sbriciolare.
Dopo il bonus facciata è arrivato il PNRR. In questo caso quali interventi avete compiuto?
Subito dopo, a febbraio del 2022, è arrivato il bando di gara e c'era già una certa pressione perché c’erano solo 45 giorni per presentare una bozza di spesa, non di un progetto. Questa bozza di spesa avrebbe avuto bisogno di più correzioni, invece è stata congelata tale e quale. Si sono presentati a livello nazionale più di 800 progetti, da Torino a Palermo. Ne hanno selezionati un centinaio, il progetto della Rotonda è arrivato undicesimo.
Il progetto in cosa consiste?
È relativo al recupero del giardino di un edificio storico vincolato: il boschetto romantico. L’impegno era quello di consegnare i lavori in tre anni e di garantire 120 giorni di apertura all’anno. Il giardino e la sua parte decorativa prendono il 30%; il 60% va alla parte botanica e il 10% va alla comunicazione.
Quanti alberi ci sono nel Boschetto?
È stato fatto un rilievo molto scrupoloso sull’intera proprietà, sono stati segnati 580 cartellini, è stato fatto anche un calcolo di staticità di oltre la metà delle piante, soprattutto nella zona del boschetto. Sono state analizzate moltissime piante danneggiate dai temporali passati o quelle considerate infestanti, di conseguenza la Sovrintendenza ha dato il permesso di compiere ottanta abbattimenti, ne abbiamo fatti circa settanta. Il totale adesso è di 430 alberi. Il tutto nei 15mila metri quadrati del Boschetto romantico, all’interno dei 12 ettari dell’intera proprietà.
Quali alberi sono e come incidono all'interno di un ecosistema più ampio?
Le essenze sono quasi tutte autoctone: sono piante della zona delle colline dei colli berici. Poi ci sono delle presenze volute nell'Ottocento, come il cedro del Libano per esempio, che è stato messo in asse all'ingresso di Sud Ovest. I platani orientalis sono molto antichi. Quello che con un soprannome io chiamo "il bambino" è un elemento alto più di 40 metri. Un esemplare immenso. Si tratta di un platano. I platani nei giardini romantici japelliani e nelle Ville Venete sono spesso presenti, anche per la loro velocità di crescita. E poi ci sono tigli, alcune querce. Ci sono i celtis occidentalis, piante dalla grande adattabilità che crescono ovunque, per questo chiamate in gergo "spaccasassi".
Qual è l’albero più antico?
Attraverso le carte del catasto Napoleonico si va ai primi dell'Ottocento e alcune piante segnalate oggi non sono più presenti, quindi credo che alcuni elementi di questo giardino non possano avere oltre i 200 anni.