E' passato un anno esatto dal giorno in cui Gennaro Giordano, 38 anni, si suicidò. Veniva "mobbizzato perché gay", dice il padre Armando, che da quel giorno porta avanti la sua battaglia nel nome del figlio: chiede la verità e vuole giustizia. A un certo punto, racconta, non ce l'aveva più fatta a sopportare le prese in giro e le discriminazioni sul posto di lavoro. E aveva deciso di farla finita. "E' passato tanto tempo da quel giorno - ricorda il padre di Gennaro, che lavorava come geometra - e nonostante ci sia un'indagine ancora in corso io, mia moglie, i miei figli, ancora non sappiamo se ci siano effettivamente delle responsabilità per quello che è accaduto". Gennaro si era tolto la vita lanciandosi nel vuoto. Ma prima aveva scritto a parenti e amici le sue lettere d'addio, in cui lanciava accuse precise verso le persone che individuava come responsabili del suo malessere.
Fascicolo per istigazione al suicidio -
Sul suo caso ha aperto un fascicolo la Procura di Torre Annunziata. L'ipotesi di reato è istigazione al suicidio. Gennaro si era lanciato dalla finestra dell'abitazione in cui viveva, adiacente a quella della famiglia, intorno alle 20 del 2 dicembre di un anno fa. E sulle lettere lasciate indica le persone che, dice, gli hanno reso la vita impossibile.
"Per lui donne e omosessuali sono inferiori" -
In uno dei testi si legge: "Con il nuovo capo la situazione non è cambiata. Anzi, lui perseguita tutto ciò che non rientra nel suo bigottismo, per lui donne e omosessuali sono esseri inferiori, mi sento prigioniero in questa vita. Ma non voglio che vi rattristiate, adesso starò bene. Sarò vicino a tutti quelli che mi sono stati di sostegno. Non è colpa vostro. Sono io, entrato in un loop depressivo da cui non so uscire. Fatela pagare a...".
Tra pressioni e discriminazioni -
Gennaro parla di dolore, di pressioni, di discriminazioni. Ed esprime il desiderio che il suo gesto non rimanga impunito. Racconta, per esempio, di quando, nonostante una dolorosa flebite, fu costretto a tornare in servizio perché minacciato di licenziamento. E poi dice di mansioni che gli venivano richieste senza essere previste dal contratto, per cui non aveva riconoscimenti. E scrive: "Sono depresso. Tutto è iniziato qualche anno fa. Alterno alti e bassi, con momenti di forte stress emotivo. Non lo so molto a vedere, ho anche provato a intraprendere percorsi di accompagnamento, ma con pochi risultati". E ancora: "Mi sento un peso per la mia famiglia e per le persone che mi stanno attorno, tutto questo è cominciato con la situazione lavorativa in cui mi trovo, dove mi sento perseguitato h24". Gennaro parla poi dei mancati riconoscimenti sul posto di lavoro, malgrado l'impegno, e poi fa i nomi di chi lo sta osteggiando. Ma chiede a tutti di non piangere: "Non datevi colpe e ricordate solo i momenti belli passati insieme".
Farmaci e ansiolitici -
"Le sue lettere rendono chiaramente il malessere e la fragilità che lo attanagliavano - spiega la famiglia -, frutto di quello che subiva a causa della sua omosessualità". Gennaro fece ricorso a una terapia psicologica, si curò con ansiolitici e altri farmaci. Ma fu tutto inutile: il loop depressivo che lo imprigionò, legato alle vessazioni che continuava a subire, lo portò al suicidio. "Gennaro ha sopportato finché è riuscito - dice ancora il padre - e alla fine si è arreso. Ora chiediamo giustizia anche nell'interesse di tanti altri ragazzi. E' assurdo che resista ancora questa mentalità discriminatoria". C'è anche un altro mistero da chiarire: il cellulare aziendale di Gennaro era custodito nel suo armadietto chiuso con un lucchetto. Il telefono venne consegnato successivamente al fratello, ma privo di tutti i suoi dati. Dove sono andati a finire?