La guerra che affligge il Medioriente si è spostata anche in Siria. Come avevamo previsto analizzando lo stato del conflitto a un anno dalla strage di Hamas, il fuoco dei combattimenti ha investito anche il Paese da anni preda di una violenta guerra civile tra ribelli jihadisti e forze governative di Bashar al Assad. Un Paese dilaniato dalla contesa tra potenze straniere - Russia, Turchia, Iran, Stati Uniti - protagoniste di un (altro) conflitto per procura. Potenze che, all'occorrenza, estremizzano lo scontro interno al Paese per indebolire o distrarre gli avversari.
La Siria diventerà il nuovo grande teatro della guerra? -
Anche se non diventerà il principale teatro di guerra del Medioriente, la Siria è da anni un campo di battaglia quotidiano e conoscerà una decisa escalation degli scontri sul terreno. Il conflitto interno, ma sopito, viene risvegliato alla bisogna da una o più potenze che agiscono al suo interno, con l'obiettivo di "dar fastidio" ai nemici incendiando un altro fronte. Ne è un esempio, come accennato, la Russia impegnata contemporaneamente in Ucraina. Per quanto riguarda Israele, la Siria rappresenta un "campo aperto" per usare le parole di Hanin Ghaddar, senior fellow del Washington Institute. La previsione generale indica che, finché la guerra a Gaza proseguirà, Israele continuerà a bombardare obiettivi siriani. Specialmente nei momenti in cui l'accanimento su altri territori risulterà troppo insistente e, dunque, possibile causa di un'escalation totale con l'Iran che ancora non si vuole. Ma, in tutto questo, perché il regime siriano non reagisce direttamente agli attacchi israeliani? Innanzitutto perché, pur avendo una propria agenda, risponde alle esigenze tattiche della potenza dirigente, cioè l'Iran. E anche perché il Paese reputa i raid israeliani "di basso profilo", lanciati cioè per tenere alta la pressione su Teheran ma non con intenti distruttivi. Al netto dell'inaccettabile tragedia dei morti civili. Infine il Paese affronta ancora i postumi della sua lunga guerra civile con estrema difficoltà e forti timori per ciò che potrebbe accadere in caso di sovraesposizione militare. Anche per questo motivo, le sparute e timide risposte di Damasco a Israele sono consistite in qualche razzo lanciato oltre confine e atterrato su terreni deserti. Pura scenografia. La Siria resterà base di retroguardia e insieme rampa di lancio per gli attacchi dei clientes dell'Iran verso Israele
La Siria vista da Israele -
Dopo il cessate il fuoco concordato col Libano, nell'intento di congelare momentaneamente la contesa contro Hezbollah, Israele vuole concentrarsi sugli altri fronti aperti contro gli agenti di prossimità dell'Iran. Hamas in primis, come testimoniano i rinnovati raid nella Striscia di Gaza. Raid che hanno riguardato anche la Siria, piattaforma di passaggio dei rifornimenti inviati da Teheran verso le milizie sciite che fronteggiano lo Stato ebraico. Fu tra l'altro proprio nella capitale siriana, Damasco, che le forze israeliane il 1° aprile attaccarono il consolato iraniano, uccidendo diversi membri dei pasdaran e avviando di fatto lampi di guerra diretta fra Teheran e Tel Aviv. In Siria lo Stato ebraico ha evidenziato e colpito la debole deterrenza iraniana, rendendola di fatto un campo principale (ma silente dal punto di vista mediatico rispetto a Gaza e Libano) della contesa mediorientale. Non è un caso che, subito dopo l'annuncio della tregua in Libano, Israele abbia avvertito il regime siriano: "Se aiutate ancora Hezbollah, pagherete un prezzo carissimo". Negli scorsi giorni razzi e droni israeliani hanno distrutto diversi ponti nella regione di Qusseir, vicino al confine sirano-libanese, viatico primario degli invii di aiuti da parte di Teheran.
La Siria vista dall'Iran -
Dal 2017, e ancor più dopo il 7 ottobre 2023, gli attacchi israeliani in Siria si sono intensificati, diventando quasi a cadenza settimanale, per contrastare la crescente presenza e influenza dell'Iran e di Hezbollah. Per visualizzare chi è nemico di chi: Iran, Hezbollah e il regime siriano sono alleati tra loro contro lo Stato ebraico e il suo principale sostenitore militare e finanziario, gli Stati Uniti. Nel cosiddetto Asse della Resistenza (o Mezzaluna sciita in dizione occidentale) anti-israeliano figurano anche gruppi armati in Iraq e gli Houthi dello Yemen. Secondo alcuni analisti è la Siria, più del Libano, a rappresentare il principale territorio da proteggere per la Repubblica Islamica. Innanzitutto per la maggiore vulnerabilità degli obiettivi alla portata di Israele, ma anche perché in Siria i persiani hanno gli stivali sul terreno e il controllo effettivo di ampie porzioni di territorio. Il Paese è inoltre il "perno" delle rotte di rifornimento regionali che collegano Iran, Iraq e Libano.
La Siria vista dalla Russia -
Lo scoppio della violenza in Siria riguarda anche la Russia. L'obiettivo dei miliziani filo-turchi che hanno lanciato l'offensiva è anche contro la protezione militare che Mosca ha assicurato al regime di Assad. L'impegno diretto russo nell'area risale al periodo della Guerra Fredda. Il suo rilancio è avvenuto invece nel 2015, proprio con la campagna in Siria. Le contemporanee operazioni in Libia hanno garantito al Cremlino una presenza militare stabile nella fascia che congiunge Medioriente e Nordafrica. Stando agli ultimi dati disponibili, risulta che soltanto in Siria, tra il 2015 e il 2018, sono stati schierati almeno 48mila militari russi, oltre a 8mila contractor privati. Il controllo russo del "ponte" tra Africa e Medioriente si dipana anche e soprattutto attraverso porti e presenza navale, in particolare in Siria. I due avamposti principali sono la base navale di Tartus e quella aerea di Ḥumaymīm/Khmeimim, nei pressi di Latakia. La prima rappresenta l'unica installazione marittima di Mosca nel Mediterraneo, dove stazionano quattro navi militari di media stazza e in cui avviene la manutenzione delle imbarcazioni da guerra utilizzate nel Mar Nero. Nel 2017 la Russia ha inoltre sottoscritto il controllo e la sovranità del territorio dove sorge la base per la bellezza di 49 anni. Con un grande obiettivo: ampliare l'infrastruttura per consentire l'attracco di navi a propulsione nucleare.