Esce venerdì 29 novembre "Alaska Baby", ottavo album in studio di Cesare Cremonini. Un lavoro che arriva a due anni dal precedente "La ragazza del futuro", due anni che però sembrano una vita. Perché "Alaska Baby" per Cremonini è una vera ripartenza, un album scritto e realizzato con la maturità di un artista (e se tante volte il termine è abusato, in questo caso non lo è) che ha alle spalle oltre vent'anni di carriera e l'energia di un disco di debutto. Che era proprio ciò che lui andava cercando. "Provocarsi significa mettersi in discussione e offrire al pubblico una piccola forma di verità - dice lui durante l'incontro con la stampa a Milano per il lancio dell'album -. Questo non è l’unico modo di fare un disco, è una scelta. In questo momento avevo bisogno questo, ritrovare un’energia da disco d’esordio. Mettersi in pericolo. Credo che le più forti capacità le tiriamo fuori quando siamo in pericolo".
© Ufficio stampa
Pericolo per Cremonini era quello di cadere, nel momento del grande successo, nella trappola del ripetersi stancamente. "Pericolo significa specchiarsi e come tale non tirare fuori più niente, plagiarsi - spiega -. Ancora peggio il pericolo di dimenticarsi del proprio compito e del proprio ruolo, andando ad assecondare un’idea di mercato che è attraente ma confonde, che è quella di assecondare il pubblico. Ho sempre seguito questa linea, a volte con delusioni a volte con grosse soddisfazioni, come adesso. Se sono qui a fare un disco come questo è perché dentro di me sento che c’è ancora tutto da fare". Ecco allora il viaggio da cui sono nate le dodici canzoni che compongono questo nuovo lavoro. Un lungo viaggio, metaforico e materiale. Il primo avvenuto dentro di sé, alla ricerca di nuovi orizzonti, il secondo (immortalato anche visivamente in "Alaska Baby, il documentario", che uscirà prossimamente) è quello affrontato da Bologna all’Alaska attraversando l’America. Un viaggio per ritrovarsi, per riprendersi dopo la sbornia di un tour negli stadi di grandissimo successo culminato nel mega show di Imola, fino a quel momento tempio esclusivo di Vasco Rossi. Ed è stato nel corso di quel viaggio, passando da Antigua a Miami, da Nashville a Los Angeles e su fino a Seattle e poi all'Alaska, sperando di vedere l'aurora boreale, che a un certo punto l'ispirazione per i nuovi brani è arrivata.
© Ufficio stampa
Brani che, come nei casi del Cremonini più ispirato, hanno la rara capacità di coniugare complessità di scrittura e arrangiamento a facilità di fruizione e che non cercano di strizzare l'occhio a effimere mode sonore pur risultando assolutamente contemporanei ("Io lavoro sempre in prospettiva, della mia generazione ho tenuto salda l’idea di non derubare il presente" sottolinea Cesare). Dall'apertura della title track, che mescola echi british, Beatles e cori alla Beach Boys, alla straordinaria chiusura di "Acrobati", un gioiello capace di unire intimità e afflato epico, si passa attraverso mutevoli paesaggi sonori, dove trovano spazio un duetto con Elisa in "Aurore boreali", più prossimo a una simbiosi che a un feat, la delicatezza acustica di "Una poesia", le sonorità deep house di "Il mio cuore è già tuo" (con lo zampino dei Meduza) e il pop cangiante di "Ora che non ho più te". Quest'ultimo poi, singolo apripista dell'album, ha contribuito affinché Cremonini riuscisse in una impresa concessa a pochissimi artisti nati dopo il 2000: agganciare la generazione dei giovanissimi. Il brano è infatti stabilmente tra i più ascoltati su Spotify, lasciandosi da settimane dietro nomi e generi che su quella piattaforma dovrebbe avere vita più facile. Un risultato che persino per Cremonini stesso è difficile da spiegare, anche se ci prova. "Appartengo a una generazione di artisti ponte - dice -, nati con i piedi nel Novecento e con lo sguardo verso il mondo che stava cambiando. Il passato è sempre con me ma allo stesso tempo sono un artista contemporaneo. Io scrivo canzoni che puntano a essere eterne, nel senso che non si legano al momento e allo stesso tempo sono un artista che tiene insieme... se leggete i commenti sotto il video di 'Ora che non ho più te' troverete interventi di persone di diverse generazioni che in qualche modo non si parlano tra loro ma ognuna di esse vede nel brano qualcosa a lei vicina".
Ma nell'album ci sono altre due canzoni che rivestono un peso speciale, e si tratta di "Ragazze facili" e "San Luca". La prima è una nuova "Nessuno vuole essere Robin", una ballad guidata dal pianoforte, poetica e romantica, spezzata da stop and go, cori e archi che la fanno da padrone nel ritornello, con il pianoforte di Mike Garson, storico pianista di David Bowie, a dare un tocco espressivo decisivo. Si tratta della canzone più personale di Cremonini. "'Ragazze facili' contiene delle cose di grande valore per me, un brano in cui sono nudo - afferma -. Di fatto parla del non avere paura del dolore e ritrovare il coraggio di amare. Quando mi sono reso conto di quanto fosse rivelatrice ho fatto di tutto per mascherarla, con tante versioni dove c’erano corazze musicali, ma nulla funzionava. Alla fine ho chiamato Garson, che è un artista spirituale, e abbiamo trovato la chiave giusta. Posso dire che mi sono arreso, la canzone ha avuto la meglio su di me". Garson dà carattere anche a "Dark Room", con intarsi pianistici che ricordano la bowiana "Lady Grinning Soul".
© Ufficio stampa
E poi c'è "San Luca", cantata insieme a Luca Carboni. "E' una preghiera un po’ laica. La Madonna di San Luca è una figura popolare a Bologna, ci si va spesso, per chiedere le cose più difficili come le più banali e prosaiche - dice lui -. Quella canzone ha un’anima da stornello tanto che non sapevo se fosse il caso di inserirla nel disco. Nei mesi in cui si stava curando per il tumore avevo sentito Luca con dei messaggi fugaci, rispettando il suo silenzio in un momento così difficile. Poi leggendo l'intervista al 'Corriere della sera' ho scoperto che era guarito e gli ho mandato quella canzone. Perché quel testo sembra cucito su misura". Una canzone che incarna anche una nuova visione di Cesare della spiritualità. "Ho sempre avuto un grande rapporto con la spiritualità. In questo disco c’è un passaggio dalla fede assimilata culturalmente in tutti questi anni a una fede nell’umano. 'San Luca' è l’esempio massimo di unione tra laico e spirituale. Poi quando in 'Ragazze facili' dico che 'quando ridi posso credere di essere meraviglioso, degno dell’attenzione del cielo', quando canto quella frase sto dicendo che tramite l’amore posso credere nel divino. In realtà sto vivendo l’esperienza di tornare a credere nell’amore".
La chiusura dell'album getta apertamente un ponte sul futuro prossimo, con la frase contenuta in "Acrobati" "palchi accesi / Dentro i miei pensieri". Perché il prossimo impegno di Cesare è un nuovo tour negli stadi, con 500mila biglietti già staccati ancora prima dell'uscita del disco. "Quella è la mia dimensione - dice -, io la sognavo già a fine anni 90 quando parlare di stadi, eccezion fatta per pochissimi artisti, era pura follia. Non vedo l'ora di tornare su quel palco".