Una classifica molto particolare, in cui i primi tre posti sono vuoti. È la nuova edizione del Climate change performance index, giunto alla ventesima edizione e curato dalle organizzazioni non governative Germanwatch, NewClimate institute e Climate action network. Ad essere valutate sono le performances climatiche dei Paesi che sono responsabili del 90% delle emissioni globali di gas ad effetto serra.
Una decisione simbolica, quella di lasciare scoperto il podio, derivata dallo scarso impegno messo in campo dai Paesi per abbandonare i combustibili fossili. Se da un lato, infatti, fonti di energia pulita come solare ed eolico stanno registrando rapidi progressi, queste azioni non sono affiancate a una riduzione drastica dello sfruttamento di carbone, petrolio e gas.
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L’analisi ha interessato 63 nazioni, più l’Unione europea nel suo complesso. Al quarto posto troviamo la Danimarca, che, come spiega il rapporto, è l’unico Paese ad aver ottenuto dei punteggi elevati nella valutazione delle politiche climatiche. Subito dopo troviamo i Paesi Bassi e al sesto posto il Regno Unito, che ha migliorato di molto le sue performance, soprattutto grazie al superamento del carbone e agli impegni del nuovo governo.
Ma diamo un’occhiata al fondo della classifica. Gli ultimi posti, come era già successo per le vecchie edizioni, sono occupati da Iran, Arabia Saudita, Russia ed Emirati Arabi Uniti. Una decisione che non stupisce, trattandosi di alcuni dei maggiori produttori di gas e petrolio al mondo, i cui governi non lasciano trasparire cambiamenti in vista.
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Amaro anche il risultato dell’Italia, che si classifica al 43esimo posto. Come si legge nel rapporto, infatti, il nostro Paese “ha autorizzato nuovi progetti di gas fossile e non ha ancora raggiunto il potenziale di energia rinnovabile nazionale”.
Insomma, se vogliamo davvero limitare la crescita della temperatura media globale a un massimo di 1,5 gradi, la strada per raggiungere il podio è ancora lunga.