In un'Italia lacerata dalla guerra e dalla povertà, Vittorio De Sica trovò una nuova lingua per il cinema, una lingua che parlava delle persone comuni, che raccontava la verità senza maschere: il neorealismo. A cinquant'anni dalla sua morte - ci ha lasciato il 13 novembre del 1974 a 73 anni - il suo sguardo sincero continua a commuovere e a scuotere. Della sua lunghissima e fortunata carriera lunga oltre mezzo secolo (fu attore, regista, sceneggiatore, produttore, lavorò per la radio e la televisione) vogliamo soffermarci sul periodo dell'immediato dopoguerra, quando contribuì a far emergere frammenti di un'Italia ferita, sogni rubati, vite marginali che diventano universali, rispecchiando la condizione umana in tutta la sua fragilità e resistenza, restituendo dignità agli invisibili e rendendo - di fatto - il neorealismo, il movimento che contribuì a creare, una delle più grandi rivoluzioni culturali del Novecento.
Uno stile autentico, semplice e spietato - Il neorealismo nasce in un'epoca di devastazione, con l’Italia uscita a pezzi dalla Seconda Guerra Mondiale. Le macerie visibili nelle città, i volti segnati dalla povertà e la disperazione della gente erano argomenti che raramente trovavano spazio nel cinema dell'epoca, orientato più al sogno e all'evasione. De Sica, insieme a sceneggiatori come Cesare Zavattini, ha scelto di dare voce a queste storie con uno stile autentico, semplice e spietato, caratterizzato dall'uso di attori non professionisti e di scenari naturali. Quando portava la sua cinepresa tra le strade polverose e i volti segnati della Roma del dopoguerra, non raccontava solo una storia: metteva in scena un Paese intero, un'epoca, un dramma collettivo. Questo approccio non solo diede credibilità alle sue storie, ma permise anche di creare un legame diretto e umano con il pubblico.
"Sciuscià" (1946): l’innocenza infranta della gioventù - "Sciuscià" è un'opera cardine di De Sica, il suo approccio al neorealismo. Racconta la storia di due giovani lustrascarpe (sciuscià, appunto), Giuseppe e Pasquale, nella Roma del dopoguerra. I ragazzi, amici inseparabili, sognano di acquistare un cavallo, ma vengono accusati ingiustamente di un crimine e spediti in un riformatorio, dove le speranze vengono distrutte dalla violenza e dall'ingiustizia. Con "Sciuscià", De Sica mette in luce le difficoltà delle giovani generazioni, vittime di un mondo adulto corrotto e incapace di offrir loro un futuro migliore. Il film ricevette l'Oscar nel 1948, confermando il suo forte impatto fuori dall'Italia, dove fu inizialmente accolto in maniera tiepida, poiché mostrava il lato più oscuro e crudo della società. Rivalutato, è diventato un punto di riferimento per chi desidera esplorare temi come la perdita dell’innocenza e la critica sociale attraverso il linguaggio cinematografico.
"Ladri di biciclette" (1948): la disperazione della ricerca di un'identità - "Ladri di biciclette" racconta la storia di Antonio Ricci, un uomo disoccupato di Roma che trova lavoro come attacchino grazie alla sua bicicletta. Quando la bicicletta gli viene rubata, Antonio e il figlio Bruno iniziano una disperata ricerca per ritrovarla. Il film mette a nudo le difficoltà del dopoguerra e il valore quasi sacro degli oggetti più semplici, come la bicicletta, per la sopravvivenza. Nonostante il film sia stato accolto inizialmente con un misto di ammirazione e sconcerto, oggi è considerato uno dei più grandi capolavori del cinema, apprezzato per la sua sensibilità e la sua capacità di rappresentare la disperazione e la dignità umana. La reazione internazionale a "Ladri di biciclette" fu straordinaria: vinse l'Oscar come miglior film straniero nel 1949, e influenzò registi di tutto il mondo.
"Umberto D." (1952): la solitudine degli ultimi - Con "Umberto D." De Sica porta sullo schermo un altro spaccato di vita reale, questa volta raccontando la storia di un anziano pensionato, Umberto Domenico Ferrari, che vive in miseria e affronta il rischio di sfratto. La sua unica compagnia è un cagnolino, Flaik, con cui condivide i momenti più difficili. Attraverso Umberto, De Sica denuncia la condizione dei più deboli, emarginati e dimenticati dalla società. Il film venne accolto in modo controverso in Italia, dove alcuni lo accusarono di "anti-italianità" per l'immagine triste e dura del Paese che mostrava, perché "i panni sporchi si lavano in casa". Nonostante queste critiche, l'opera è oggi riconosciuta come una delle più toccanti denunce sociali della storia del cinema, apprezzata per il suo realismo senza compromessi e per la delicatezza con cui tratteggia il protagonista, permettendo allo spettatore di entrare nella sua sofferenza.
"Miracolo a Milano" (1951): una favola amara - "Miracolo a Milano" rappresenta un'eccezione nella filmografia di De Sica per il suo tono surreale e fantastico, pur rimanendo legato alla denuncia sociale. La storia narra di Totò, un orfano che sogna una società equa e giusta. In questo film, De Sica utilizza l'elemento magico per raccontare la lotta tra i poveri e i potenti, in un modo che combina la dolcezza della favola con la crudezza della realtà. "Miracolo a Milano" non ricevette lo stesso entusiasmo di altri lavori di De Sica, forse per il suo approccio meno realistico. Col tempo, però, anche questa pellicola è stata rivalutata, ed è oggi considerata una delle opere più innovative del neorealismo italiano.
Un'eredità senza tempo - I film di Vittorio De Sica hanno lasciato un'eredità che va oltre il neorealismo, hanno influenzato il cinema mondiale dando voce a chi vive ai margini. In tutto il mondo, cineasti di diverse epoche e culture hanno tratto ispirazione dalla poetica neorealista, che ha insegnato a mostrare la vita come è, senza lustrini e senza filtri. Ken Loach ha spesso dichiarato il proprio debito verso il neorealismo italiano. Film come "Riff-Raff" (1991) ritraggono la classe operaia e le sue difficoltà con uno stile diretto e realistico che ricorda molto De Sica. O ancora l'iraniano Abbas Kiarostami, che ha fatto del neorealismo un pilastro della sua formazione artistica grazie alla sua capacità di usare il cinema come specchio della società del suo Paese, proprio come De Sica fece per l'Italia. La poetica neorealista emerge in autori come François Truffaut, Wim Wenders, Jean-Luc Godard e Pedro Almodóvar, che pur appartenendo a una cultura cinematografica molto diversa, han dichiarato di ammirare De Sica per la capacità di ritrarre la sofferenza umana senza cadere nel sentimentalismo. E ancora Martin Scorsese, Francis Ford Coppola, Woody Allen, Steven Spielberg e Spike Lee hanno apertamente dichiarato quanto in diversi loro film abbiano spesso trovato ispirazione nei film neorealisti di De Sica.
Vittorio De Sica oggi - Il valore dei capolavori di De Sica risiede nella loro capacità di parlare ancora al pubblico moderno, mettendo a nudo questioni sociali e umane che rimangono attuali. Grazie anche alla sua visione, il cinema è diventato uno strumento potente di riflessione e cambiamento sociale, capace di attraversare i confini e di parlare a generazioni di spettatori. Mezzo secolo dopo la scomparsa di Vittorio De Sica, il suo cinema è ancora qui, a farci riflettere, a ricordarci il valore della dignità umana e la forza di un linguaggio che ha trasformato il racconto del reale in un atto di rivoluzione.