Meno studenti sui banchi e quindi meno istituti scolastici: l’effetto combinato della denatalità e del dimensionamento scolastico ha dato una bella sforbiciata all’anagrafe della scuola. All’appello, in questo anno scolastico, ci sono ben 500 istituzioni scolastiche in meno.
Un processo richiesto dall’Unione Europea, connesso all’attuazione del PNRR, e funzionale a razionalizzare le risorse, visto che nel contempo stanno diminuendo anche gli studenti: siamo a 120 mila alunni in meno rispetto all’anno precedente.
A segnalarlo è il sito Skuola.net, dopo aver confrontato i report 2023 e 2024 con i “Principali dati della scuola”, diffusi dal Ministero dell’Istruzione e del Merito all’avvio di ogni anno scolastico.
Dimensionamento scolastico: il conto lo pagano le regioni del Sud
A settembre 2024, infatti, le classi sono state riaperte con una decisa emorragia di istituzioni scolastiche statali. Che sono passate dalle 7.960 del 2023/2024 alle attuali 7.473, ovvero 487 in meno, circa il -6%. Che fine hanno fatto tutte queste scuole? La strada più battuta è stata quella della fusione con istituti più grandi presenti sul territorio. Molto più raramente si è trattato di una cancellazione vera e propria. Di fatti, tra un anno e l’altro, le sedi scolastiche sono diminuite di una manciata di unità: dalle 40.321 del 2023 alle 40.076 del 2024.
A livello geografico, le regioni che hanno pagato il prezzo più alto al dimensionamento si trovano quasi sempre, se non esclusivamente, nel già sofferente - anche dal punto di vista scolastico - Sud Italia. Alcuni esempi? La Campania è passata da 959 istituzioni a 852, perdendone oltre cento (-11%); la Sicilia è scesa da 792 a 718 (-9%); la Puglia da 620 a 576 (-7%); la Calabria da 355 a 283 (addirittura -20%). Molto più contenuta, invece, la riduzione - sia in termini assoluti che percentuali - nelle regioni del Centro-Nord.
Le ragioni dei tagli, tra inverno demografico e diktat europei
Le ragioni di fondo che hanno portato a una così massiccia riorganizzazione, come anticipato, sono fondamentalmente due: da un lato c’è la necessità di contenere i costi di gestione, specie nelle aree economicamente meno rigogliose e, parallelamente, di rispettare i parametri in materia indicati dall’Unione Europea; dall’altra c’è l’urgenza di trovare una soluzione al cosiddetto “inverno demografico” in cui sta sprofondando il nostro Paese. Le nascite sono crollate e, di conseguenza, le classi sono destinate a svuotarsi.
Un processo, quest’ultimo, già in pieno svolgimento: se nel 2023, sempre in riferimento alle scuole statali, ai nastri di partenza si presentarono - dalle elementari alle superiori - 7.194.400 studenti, nel 2024 a entrare in aula alla prima campanella sono stati 7.073.587. Un calo di 120.813 alunni, quasi il 2% in meno.
Effetto denatalità: in un anno la scuola primaria ha perso 50mila studenti
E come prevedibile, se non altro perché sono le prime a subire gli effetti delle culle vuote, gli ammanchi maggiori si registrano proprio nelle classi più basse. Nella scuola primaria (le elementari), tra il 2023 e il 2024, si è scesi da 2.219.151 a 2.170.746 bambini (quasi 50 mila presenze in meno, -2,18%). Alle medie, invece, le perdite si attestano attorno alle 35 mila unità, con gli iscritti che sono passati da 1.533.509 a 1.498.498 (-2,28%). Molto più contenute, infine, le “assenze” nelle classi superiori: se ne sono registrate poco più di 12.500, con il numero degli alunni che è sceso da 2.631.879 a 2.619.287 (-0,48%).
Calano persino, seppur di poco, gli studenti stranieri: nel 2023 furono quasi 870 mila (869.336), nel 2024 sono meno di 865 mila (864.425), che si traducono in un -0,56%. Solo una categoria mostra, in controtendenza, il segno positivo: sono gli alunni disabili, che un anno fa erano in 311.201e che ora sono 331.124 (+6,4%).