IL RAPPORTO

Vale la pena laurearsi? Secondo l'Istat sì: fa trovare più lavoro e spiana la strada alle donne

Il tasso di occupazione di chi è in possesso del titolo accademico è 11 punti più alto di quello dei diplomati. E tra i giovani il gap sfiora i 16 punti

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Vale la pena laurearsi? Leggendo i numeri si direbbe di sì. Tra i 25-64enni, infatti, il tasso di occupazione di chi prosegue con successo il percorso di formazione dopo il diploma scolastico è di ben 11 punti percentuali più alto di quello dei diplomati. E tra gli under 35, nei primi tre anni dal conseguimento del titolo, il divario sale a quasi 16 punti. E le ragazze, proprio attraverso la laurea, ridurrebbero le differenze con i ragazzi. A dircelo sono gli ultimi dati Istat, contenuti nel report 2023 sui "Livelli di istruzione e ritorni occupazionali". Peccato che l'Italia sia sotto la media Ue per numero di laureati. E che, dalle nostre parti, anche per i più formati il lavoro sia spesso "intermittente".

Laurea sì, anche se ci sono dunque alcuni "ma": il primo è che laurearsi è un'impresa ancora alla portata di pochi rispetto a quanto avviene negli altri Paesi avanzati; seguito poi dall'intermittenza delle carriere lavorative, con l'alternanza di periodi di occupazione ad altri di riposo forzato. Ma andiamo con ordine, con un approfondimento che il portale Skuola.net ha voluto dedicare a tutti gli studenti (famiglie incluse) che sono alle prese con la difficile scelta di cosa fare dopo il diploma di Maturità.

Continuare a studiare apre migliori prospettive

Continuare a studiare e coronarsi di alloro sicuramente aumenta le chance lavorative: tra chi possiede un titolo terziario, il tasso di occupazione raggiunge l'84,3%, contro il 73,3% di chi ha un titolo secondario superiore. Il vantaggio si allarga a 30 punti percentuali se confrontiamo laureati e dintorni con chi si è fermato al massimo alla terza media: 84,3% contro 54,1%. Ma il confronto più calzante, forse, è quello che riguarda i giovani: tra chi ha meno di 35 anni lavora il 75,4% dei neolaureati e appena il 59,7% dei neodiplomati.

Allo stesso modo, ma vedendo le cose dal punto di vista opposto, il tasso di disoccupazione dei laureati, pari al 3,6%, è nettamente più basso rispetto a quello dei diplomati (6,2%) e a quello di coloro con un titolo di studio inferiore (10,7%). Si conferma, dunque, l'evidente "premio" occupazionale dell'istruzione, in termini di aumento della quota di occupati al crescere del titolo di studio conseguito.

In Europa fatichiamo ancora, ma le cose stanno migliorando

Come anticipato, però, c'è anche un'altra faccia della medaglia: nel nostro Paese le opportunità occupazionali rimangono più basse di quelle medie europee anche per chi raggiunge il titolo accademico. Il tasso di assorbimento medio da parte del mercato Ue preso nel suo complesso (87,6%) è superiore a quello dell'Italia di 3,3 punti percentuali. Differenza solo leggermente inferiore a quella osservata per i titoli medio-bassi, che si attesta rispettivamente sul 4,5% per i diplomati e sul 4,6% per i titoli più bassi.

Una notizia non buona, in una nazione che già di per sé non brilla per numero di laureati: ad oggi, ne è in possesso solo il 21,6% degli under 65, ben al di sotto della media europea (35,1%) e circa la metà di quanto registrato in Francia (42,4%) e Spagna (41,4%).

Una nota lieta, a tal proposito, però c'è: questa quota tra il 2022 e il 2023 è cresciuta in media di un +1,3%. Merito dei giovani laureati: tra i 25-34enni, più di un ragazzo su quattro (24,4%) e oltre una ragazza su tre (37,1%) possiede un titolo terziario; entrambi, dunque, sono ben sopra la media nazionale. Ma si resta lo stesso fatalmente sotto i livelli standard dell’Unione Europea, pari rispettivamente al 37,6% (maschi) e al 48,8% (femmine).

Per una ragazza il titolo accademico può facilitare il compito 

La distinzione tra ragazzi e ragazze, giunti a questo punto, è quanto mai opportuna. Visto che il "genere", purtroppo, alle nostre latitudini fa ancora tanto in termini di percorso lavorativo. Anche per i laureati. Sebbene, infatti, le donne risultino più istruite - il 68,0% delle 25-64enni ha almeno un diploma o una qualifica, tra gli uomini ci si ferma al 62,9% - questo poi non si traduce in una vantaggio occupazionale. Anzi, in generale il tasso di occupazione femminile è molto più basso di quello maschile (59,0% contro 79,3%).

Ma, di nuovo, la laurea resta a prescindere un percorso consigliabile. Perché al crescere del titolo di studio, i differenziali occupazionali di genere si riducono: 32,3 punti percentuali per i titoli più bassi del diploma superiore (36,8% e 69,1% il tasso di occupazione, rispettivamente, femminile e maschile), che scendono a 21,6 punti tra chi ha preso il diploma di Maturità (62,4% e 84,0% i rispettivi tassi), assottigliandosi fino a 6,9 punti percentuali se nel proprio curriculum c'è una laurea (in questo caso l'occupazione femminile è all'81,4%, quella maschile è all'88,3%).

Il lavoro è "intermittente" anche per i laureati

Quello che, invece, almeno qui da noi una laurea non riesce ancora a garantire è la continuità del lavoro. È vero che la quota dei dipendenti "a termine" sul totale dei dipendenti si riduce marcatamente, indipendentemente dall'età, nel passaggio da chi ha un titolo secondario inferiore a chi ha un titolo secondario superiore.

Ma rimane abbastanza simile se si confrontano i diplomati con i laureati. Con addirittura un paradosso: per i 25-34enni l'incidenza del lavoro a termine è addirittura superiore tra i laureati rispetto a chi ha un titolo inferiore, presumibilmente per effetto del minor tempo trascorso tra il conseguimento del titolo e l'entrata nel mercato del lavoro, spesso caratterizzata da contratti di lavoro a termine.