La vittoria di Donald Trump ha confermato ciò che già sapevamo prima del 5 novembre: queste sono state le elezioni americane più incredibili di sempre. Aggiungiamoci un "forse", dai, per evitare i soliti sensazionalismi. Lo si diceva infatti già del voto del 2020. C'è però da dire che quest'anno è successo davvero di tutto: insulti in campagna elettorale, duelli televisivi clamorosi, il ritiro di Joe Biden dalla corsa alla presidenza dopo settimane di altissima tensione, l'attentato a Trump con tanto di "resurrezione", i procedimenti penali in corso nei confronti del tycoon. E poi teorie del complotto, interferenze di grandi potenze straniere, immagini di Trump arrestato o in compagnia di persone di colore generate con l'intelligenza artificiale. Senza dimenticare l'allargamento del conflitto in Medio Oriente, dell'aumento della tensione con la Cina per Taiwan e della perdurante guerra in Ucraina.
Per restituire la cifra di questa eccezionalità, più che la storia dell'ultima corsa alla Casa Bianca è forse più interessante e divertente andare a ritroso nel tempo. Ricordando altre tornate elettorali che sono state definite le più assurde mai viste fino a quel momento (tutte) e quelle che hanno effettivamente cambiato il futuro degli Stati Uniti (poche). Anche in epoche in cui gli episodi bizzarri e i colpi di scena erano robe del calibro di duelli all'ultimo sangue fra uomini di governo.
Nel 1800 il vicepresidente uccide un uomo in duello -
Parliamo di tanto tempo fa, è vero. Ma alcune novità introdotte nel 1800 sono sopravvissute fino a noi. Quell'anno, ad esempio, per la prima volta i partiti in corsa per l'elezione scelsero i candidati attraverso la nomina da parte dei membri del Congresso eletti per le rispettive formazioni. L'esito della sfida tra l'allora vicepresidente Thomas Jefferson e il presidente uscente John Adams fu talmente "bizzarro" che gli Stati Uniti dovettero modificare la Costituzione. Prima di introdurre il 12° emendamento, i membri del Collegio elettorale avevano due voti ciascuno per il presidente. Chi otteneva più preferenze guidava la Casa Bianca, mentre chi arrivava secondo diventava vicepresidente. Bene. Le elezioni del 1800 videro un pareggio tra Jefferson e il suo "compagno di corsa", il democratico-repubblicano Aaron Burr. Entrambi avevano 73 voti, da opporre ai 65 di Adams. Come previsto ancora oggi dalla legge, il Congresso sarebbe stato chiamato a rompere il pareggio.
A questo punto entra in scena Alexander Hamilton, il primo segretario al Tesoro della nazione e fondatore del Partito Federalista. Hamilton si impegnò in una campagna per convincere i federalisti a votare per Jefferson, definito da lui stesso "il male minore per il Paese", scrivendo in una lettera che "il signor Burr non ama altro che se stesso, non pensa ad altro che alla sua stessa esaltazione". La Camera dei rappresentanti non giunse facilmente a una decisione: si riunì 35 volte prima di votare definitivamente per Jefferson. Il secondo, Burr, divenne quindi vicepresidente il 7 febbraio 1801. E veniamo alla follia. La rivalità tra Burr e Hamilton sarebbe continuata per più di tre anni prima che Burr, ancora vicepresidente in carica, uccidesse Hamilton in un duello.
Il "patto corrotto" del 1824 -
Nel 1824 il Partito Federalista andò di fatto incontro all’estinzione. Risultato: tutti e quattro i candidati erano Democratico-Repubblicani. Quello più in forma appariva Andrew Jackson, eroe di guerra e statista, che vinse il voto popolare e ottenne 99 voti nel Collegio elettorale. Al secondo posto il Segretario di Stato John Quincy Adams (84), al terzo il Segretario del Tesoro William Crawford (41) e ultimo il Presidente della Camera Henry Clay (37). Poiché nessun candidato aveva ottenuto la maggioranza dei voti, la Camera fu nuovamente chiamata a risolvere la situazione di stallo. Jackson era sicuro di vincere, dato che aveva ottenuto il voto popolare e il Collegio elettorale. Poiché la Camera poteva scegliere solo tra tre candidati, Clay fu tagliato fuori dai giochi in quanto ultimo nella classifica delle preferenze.
A quel punto successe l’imprevedibile. Dopo un mese di negoziati politici, molti sostenitori di Clay spostarono il loro sostegno su Adams, che avrebbe poi vinto la maggioranza dei voti alla Camera. Maryland, Illinois e Louisiana, che avevano espresso la maggior parte dei loro voti del Collegio elettorale per Jackson, così come il Kentucky - dove Adams non aveva ricevuto una sola scheda nel voto popolare - decisero di schierarsi con Adams. Risultato: vinse John Adams. Beffa delle beffe: scelse Clay come suo Segretario di Stato. Jackson era furioso e accusò i due avversari di aver dato vita a un “patto corrotto". Lasciò il suo seggio al Senato e giurò di vincere le future elezioni del 1828 come “outsider". Sostenuto dal suo nuovo partito, i Democratici, Jackson mantenne la promessa e superò Adams, che a quel tempo era un vertice del Partito Repubblicano Nazionale.
Il voto del 1860 che portò alla Guerra Civile -
Sappiamo praticamente tutto delle elezioni che portarono alla Guerra di Secessione americana fra nordisti e sudisti. Abraham Lincoln sconfisse John Breckinridge in una tornata elettorale che ha registrato una delle più alte affluenze di sempre. Ma la cosa eccezionale del voto del 1860 fu un'altra: la questione della schiavitù divise in due il Partito Democratico, che per lungo tempo aveva dominato il Paese. Lo scontro generale era fra due modelli economici: industriale fondato su operai e dazi, agricolo basato su schiavi ed esportazioni (soprattutto di cotone). Il Partito Repubblicano si oppose in larga parte alla schiavitù, ma era riluttante a premere per proibirla negli Stati in cui già esisteva. I Democratici, da parte loro, non furono in grado, durante la loro convention del 1860, di stabilire una linea ufficiale del partito sulla schiavitù. Senza farla troppo lunga, sappiamo bene com’è andata.
La questione degli schiavi divenne un argomento politico, fino a trasformarsi nel pretesto dello scontro armato. Il tutto dopo un voto fratturante, che spaccò il Paese in pezzi, non semplicemente a metà. Lincoln conquistò appena il 40% del voto popolare, ma nel Collegio elettorale ottenne la maggior parte degli Stati del Nord, insieme a California e Oregon. Il suo sfidante democratico Stephen Douglas arrivò secondo nel voto popolare, ma ebbe dalla sua solo il Missouri (e tre voti nel New Jersey). Il terzo candidato, John Breckinridge, ebbe il sostegno della maggior parte del Sud, insieme a Maryland e Delaware. Un puzzle esplosivo. Qualche settimana dopo la Carolina del Sud votò per la secessione, seguita da altri sei Stati del Sud. Nel febbraio 1861, i delegati di quegli stessi territori formarono gli Stati Confederati d'America e nominarono Jefferson Davis come loro presidente. Il resto è storia nota e sanguinosa.
1872: l’anno delle prime volte, ma anche di un candidato morto -
Il 1872 fu l'anno in cui la suffragetta Victoria Woodhull del Partito del Popolo (People's Party) divenne la prima donna a candidarsi alla presidenza. Non solo: nella stessa tornata lo scrittore e abolizionista Frederick Douglass divenne il primo afroamericano a essere preso in considerazione per la vicepresidenza. E ancora: durante quelle elezioni un’altra suffragetta, Susan B. Anthony, fu arrestata per voto illegale. Nonostante tutte questi avvenimenti eccezionali, il voto americano del 1872 fu incredibile per un altro motivo: la morte di un candidato alle primarie. Parliamo di Horace Greeley. La prima presidenza del repubblicano radicale Ulysses Grant, che fu generale del Nord nella Guerra Civile durante l’amministrazione Lincoln, non lasciò affatto un bel ricordo.
A causa della dilagante corruzione pubblica, nel 1872 Greeley lasciò il Partito Repubblicano in segno di protesta per candidarsi alla Casa Bianca in nome del nuovo Partito Repubblicano Liberale. Nonostante il supporto del Partito Democratico, Greeley subì una sonora sconfitta. E morì poche settimane dopo le elezioni, diventando l'unico candidato della storia degli Stati Uniti a spirare prima del conteggio dei voti. I grandi elettori che avrebbero dovuto votare per lui nel Collegio elettorale dispersero poi i loro voti fra vari candidati. Risultato: venne rieletto Grant. Un'ultima curiosità: quelle del 1872 furono le ultime elezioni, fino al 2016, in cui più di un grande elettore votò per un candidato a cui non era originariamente legato. Una cosa che non si vede praticamente mai.
1920: fare campagna elettorale... dalla prigione -
La corsa alla Casa Bianca del 1920 vide sfidarsi due editori di giornali, nell’epoca d’oro della stampa e del “ quarto potere". Il repubblicano Warren G. Harding inflisse al democratico James Cox una sconfitta storica, prendendosi più del 60% del voto popolare e 37 dei 48 Stati. Ma è col terzo candidato che la storia si fa interessante. Molto prima che Bernie Sanders diventasse l’ultimo paladino della socialdemocrazia in terra americana, il Partito Socialista d'America godeva ancora di un (minimo di) sostegno popolare all'inizio del XX secolo. Che il leader sindacale Eugene Debs si sia candidato alla presidenza nel 1900, 1904, 1908 e 1912 non è così interessante. Nel 1920, però, Debs entrò negli annali per aver condotto la sua quinta campagna dal quartier generale più improbabile: la prigione. Non era la prima volta che finiva dietro le sbarre (fu recluso già nel 1894 in relazione a uno sciopero ferroviario).
Debs attirò nuovamente l'ira del governo nel 1918 quando tenne un discorso contro la guerra a Canton, in Ohio, in cui mise alla berlina "la classe dirigente” rea, a suo dire, di aver mandato la classe operaia in guerra. Fu incastrato in base a una legge sullo spionaggio e condannato a 10 anni di carcere. Le dimostrazioni di protesta contro la sua prigionia si trasformarono nelle rivolte del Primo Maggio 1919 e Debs fu in seguito trasferito al penitenziario federale di Atlanta, da dove condusse la sua campagna presidenziale. Conquistò più di 900mila voti, un numero impressionante, ma non abbastanza per competere con Harding, che ne ottenne più di 16 milioni.
Nel 1948 Truman non riusciva a credere di aver vinto -
Il presidente Harry S. Truman era finito prima che iniziassero le elezioni del 1948. "You could stick a fork in him, to hear the pundits tell it”, "potevi infilzarlo con una forchetta", scrivevano i giornali. I bookmaker non quotavano neanche la sua sconfitta alle presidenziali. La vittoria del governatore di New York Thomas Dewey era data per scontata. Punto. Le elezioni di Midterm del 1946 avevano affidato entrambe le Camere del Congresso ai repubblicani, per la prima volta in quasi 20 anni, e i sondaggi d'opinione mostravano che solo un americano su tre approvava la gestione della presidenza da parte di Truman. Anche il giorno stesso del voto, Truman ricordò un servizio della Nbc che prevedeva che avrebbe perso. Fu solo alle 4 del mattino che gli agenti del Secret Service lo svegliarono per dirgli che aveva vinto. Il Chicago Daily Tribune aveva definito Truman uno "stupido" sulla sua pagina editoriale prima della tornata elettorale. Poeticamente, uno sciopero dei tipografi costrinse il giornale a pubblicare la sua edizione mattutina ore prima del solito, e l'editore J. Loy Maloney credette ciecamente ai sondaggisti e firmò uno dei titoli più famosi e sbagliati della storia. "Dewey sconfigge Truman". Peccato non fosse vero.
Le prime campagne elettorali televisive nel 1960 -
John Fitzgerald Kennedy infranse molte prime volte quando divenne presidente nel 1960. Fu il più giovane presidente eletto, il primo all'epoca a essere nato nel Novecento. Fu anche il primo presidente cattolico. La contesa tra lui e Richard Nixon, che vide contrapposti un senatore relativamente sconosciuto e un vicepresidente in carica per due mandati, segnò un altro precedente: per la prima volta i dibattiti fra candidati vennero trasmessi in TV. Questo fu importante per l'esito del voto, perché i televisori erano sempre più parte delle famiglie americane. L’88% delle case ne era dotato, rispetto all'11% del 1950. Nixon era stato ricoverato di recente in ospedale. Si rifiutava di truccarsi, il che metteva in risalto il suo aspetto magro e malaticcio. Aveva la barba incolta e Indossava un completo grigio che si confondeva con lo sfondo. Il suo aspetto lasciava molto a desiderare, avrebbero notato gli storici. Kennedy, d'altro canto, era abbronzato e indossava un abito e una camicia blu, quindi spiccava sullo sfondo dello studio. A differenza di Nixon, parlava guardando in camera piuttosto che al suo avversario.
Si stima che circa 70 milioni di persone avessero seguito il primo dei quattro dibattiti televisivi, il 26 settembre 1960. L'8 novembre Kennedy superò Nixon di 119mila voti (su un totale di quasi 69 milioni). Da allora fino a tutt’oggi, la televisione ha cambiato il volto delle campagne elettorali. I dibattiti televisivi davano importanza primaria all'immagine e all'aspetto fisico, e ciò terrorizzava molti candidati al punto che ci sarebbero voluti 16 anni prima che un altro candidato alla presidenza accettasse un dibattito televisivo.
La follia delle elezioni del 2000 -
Se pensate che il titolo "Dewey sconfigge Truman" fosse il massimo della follia, preparatevi a cambiare idea. Nel 2000 si arrivò al punto che un singolo Stato, la Florida, avrebbe deciso l'esito delle presidenziali. E per oltre un mese gli americani non seppero chi era il loro nuovo presidente. A contendersi i 25 voti decisivi del Collegio Elettorale c'erano il governatore del Texas George W. Bush, il cui fratello era governatore della Florida, e il vicepresidente Al Gore. Il giorno dopo il voto, la Divisione elettorale della Florida dichiarò che Bush aveva vinto con 1.784 voti, sebbene la Cnn avesse stimato meno di mille preferenze in suo favore. Due giorni dopo, un riconteggio ridusse i voti addirittura a 527, su quasi 6 milioni di schede. Ma com’è stato possibile? Il distacco tra i due candidati era talmente piccolo che migliaia e migliaia di avvocati si riversarono nello Stato Usa per intentare una marea di cause legali riguardo a quali schede elettorali potessero essere considerate valide. Alcune furono definite "forate", altre "piegate" su un angolo, altre ancora con incisioni non a norma. Il vincitore fu stabilito solo grazie a una sentenza della Corte Suprema. E anche grazie a un discorso in cui, il 13 dicembre 2000, Al Gore riconobbe la vittoria dello sfidante.