Il “Dottor S” e il “Signor H”. C’è un fattore nuovo, diverso, unico nell’ultimo adattamento teatrale della Coscienza di Zeno, il romanzo di Italo Svevo pubblicato nel 1923 e di cui un anno fa sono stati celebrati i cento anni di vita grazie al debutto a Trieste (la città dello scrittore, in cui si ambienta la storia) di questo nuovo spettacolo, diretto dal regista Paolo Valerio, che da un anno è in giro per l’Italia (dal 29 ottobre al 3 novembre è al teatro Carcano di Milano, poi a Mestre, a Vicenza, a Udine, a Forlì, a Napoli e in tutto il Sud Italia: da Palermo a Foggia, a Salerno).
Il fattore nuovo, oltre alle originalissime scelte di messinscena, è Alessandro Haber, che porta sul palcoscenico uno Zeno Cosini assolutamente inedito. Il carisma potentissimo del settantasettenne attore bolognese e la sua recitazione fuori dagli schemi (in alcuni momenti, forse, persino troppo) fanno di questa Coscienza una specie di opera prima, mai vista, fra l’altro accompagnata dalla bellissima colonna sonora, dal respiro “imperiale”, di Oragravity.
La storia - che si apre e si chiude con due monologhi da applausi da parte di Haber - è innescata (esattamente come nel romanzo) dalla lettera del Dottor S, il quale spiega di voler rendere pubbliche “per vendetta” le memorie di un ex paziente, Zeno Cosini (ricco commerciante senza meta, malato immaginario), che ha irriso e abbandonato le sue sedute di psicanalisi, ferendolo profondamente.
Eppure sono due i protagonisti di questa nuova Coscienza: il vecchio Zeno - Haber, appunto, che fa anzitutto da voce narrante - e il giovane Zeno guidato e spesso anche sostituito (fisicamente e in battuta) dal suo alter ego più anziano. Una scelta coraggiosa, e azzeccata: se, da una parte, il regista sacrifica un po’ il racconto lineare e classico delle precedenti versioni, dall’altra, gli conferisce una profondità più efficace, grazie anche all’amplificazione prodotta da un grande schermo circolare posto sullo sfondo, dove passa il flusso di pensieri e di ricordi del protagonista, che psicanalizza da cima a fondo la propria esistenza. Sdoppiando il personaggio di Zeno, il regista rende quasi tangibile il dialogo fra il sé stesso di oggi e quello di ieri, ma anche il confronto con gli altri personaggi che hanno abitato la sua vita, e la sua coscienza.
Autoironico e ansimante, Haber - che miscela quasi istintivamente leggerezza e profondità - accompagna il pubblico nel labirinto di una mente nevrotica e bugiarda (almeno secondo gli schemi borghesi del tempo), ossessionata dal fumo, dalle donne, dal rapporto col padre e con la famiglia della moglie Augusta. Ormai tutto è accaduto: ripercorrendo la propria vita, Zeno/Haber tenta solo di cambiare qualcosa dentro di sé, congedandosi con un monologo finale strepitoso, in cui (mentre alle sue spalle l’occhio inquietante del Dottor S lo spia da chissà dove) il protagonista - forse guarito, o forse definitivamente pazzo - immagina il mondo ormai abbandonato alla furia cieca dell’essere umano (reduce dalla catastrofe della Prima guerra mondiale), che lo condurrà verso un’esplosione finale, in grado di distruggerlo, ma anche - ora la sua coscienza ne è certa - di purificarlo.