Per capire perché nella corsa a Usa 2024 i cosiddetti "Stati in bilico" sono così importanti, bisogna prima comprendere le regole del voto americano. Il sistema elettorale negli Stati Uniti è radicalmente diverso da quello che conosciamo in Italia o nel resto d'Europa, ed è fondamentale tenerlo a mente. La prima differenza, decisiva, è che ogni Stato mette in palio un dato numero di grandi elettori, i quali sceglieranno poi fattivamente il nuovo presidente. Si tratta di una sorta di punteggio fisso, stabilito in rapporto alla popolazione, che va in premio a chi si aggiudica più voti nello Stato in questione. Non in percentuale, basta davvero un singolo voto in più per prendersi tutto il pacchetto di grandi elettori. Gran parte degli Stati sono tradizionalmente e dichiaratamente schierati coi democratici o coi repubblicani, mentre in sette il risultato non è scontato. Sarà dunque qui che Donald Trump e Kamala Harris si giocheranno il tutto per tutto. Tra gli "swing States" ci sono quasi sempre gli stessi nomi, ma una parte di essi cambia a ogni tornata elettorale in relazione a fattori socio-economici e demografici. Stavolta sono Arizona, Georgia, Michigan, Nevada, North Carolina, Pennsylvania e Wisconsin.
Cosa sono gli Stati in bilico e cosa significa negli Usa -
Dal punto di vista tecnico, uno Stato è definito "in bilico" se "i candidati repubblicani e democratici hanno livelli di sostegno simili" e se il suo peso elettorale è considerato dirimente per il risultato finale. Nei sette Stati "incerti" Trump e Harris sono dunque molto vicini nei sondaggi. A meno di una settimana dal voto, la distanza viaggia su appena un punto percentuale. Ciò spiega perché i candidati alla presidenza si impegnino con maggiore sforzo nell'organizzare comizi e campagne elettorali negli "swing States", nel tentativo di spostare l'ago della bilancia anche di pochissimo.
Come si elegge il presidente degli Stati Uniti -
Un ripasso veloce, per avere un quadro il più completo possibile. Per diventare presidente, un candidato deve ottenere almeno 270 (su 538) grandi elettori, cioè delegati, che poi effettivamente scelgono l'inquilino della Casa Bianca. Ogni Stato esprime un numero di delegati in base alla propria popolazione e li assegna in toto al candidato che conquista anche un solo voto in più dell'avversario. Si spiega così come è stato possibile che nel 2016 abbia vinto Trump nonostante avesse registrato ben tre milioni di preferenze in meno rispetto alla sfidante Hillary Clinton. E si spiega perché, a conti fatti, portarsi a casa grandi e celebri Stati come California e New York non assicuri alcuna vittoria. Il "segreto" per vincere è infatti arrivare primi in molti Stati medio-piccoli, anche per una manciata di voti.
Il cuore tedesco d'America -
C'è un'altra cosa importantissima da tenere presente quando si parla di Stati Uniti: al netto di tutti gli Stati in bilico che possono esserci, tutto (non solo il voto) si decide nel cosiddetto Midwest. Vale a dire il cuore d'America, lo Stato profondo, l'area geografica e culturale compresa grossomodo tra la catena dei Monti Appalachi a est, i Grandi Laghi a nord, dal fiume Ohio a sud e dal fiume Mississippi a ovest. Qui risiede ed è attivo il ceppo dominante del Paese, tedesco e non inglese come si potrebbe pensare. Una volta li chiamavano i "tedeschi d'America" (Deutschamerikaner o German-Americans). Motore produttivo, rende l'America una potenza industriale e bellica. Sono loro a orientare il canone nazionale. E sono loro, dunque, a decidere davvero le presidenziali. Non è un caso che il Wisconsin sia considerato il vero ago della bilancia del voto.
Tutto (o quasi) si decide in Wisconsin -
Il Wisconsin è decisamente lo Stato più imprevedibile per quanto riguarda il risultato elettorale. In palio ci sono dieci grandi elettori. Potrebbero non sembrare gran cosa, ma in realtà saranno decisivi. Per comprenderlo, come sempre, ci viene in soccorso la storia. Nelle ultime quattro tornate presidenziali, il vincitore ha sempre conquistato il Wisconsin. Nel 2016 vi vinse di misura Trump, mentre nel 2020 toccò a Biden. Sempre per meno di un punto. Memore di questo, il candidato repubblicano ha organizzato proprio in una città del Wisconsin, la celeberrima Milwaukee, la convention del suo partito. Cioè l'evento politico più importante per la corsa alla Casa Bianca. Anche Kamala Harris ha puntato forte sul "Badger State", scegliendolo il 23 luglio come sede del suo primo comizio da candidata ufficiale dopo il ritiro di Joe Biden (LINK). Storicamente parte del "Blue Wall", letteralmente il "muro blu" (assieme a Michigan e Pennsylvania) con riferimento al colore rappresentativo del partito democratico, ora le cose sono cambiate. Secondo le ultime stime dell'Us Census Bureau, circa quattro residenti su cinque (il 79,5%) sono bianchi non ispanici. Gli altri gruppi più numerosi sono gli ispanici (8,1%) e i neri o afroamericani (6,6%). La relativa mancanza di diversità etnica significa che gli elettori bianchi della classe operaia rappresentano un gruppo chiave per entrambi gli schieramenti. Lo stato dell'economia, l'assistenza sanitaria e i diritti all'aborto sono le questioni principali per gli elettori del Wisconsin.
L'altro grande pendolo, la Pennsylvania -
A ridosso del cruciale Midwest c'è un altro Stato fondamentale per la cosa alla Casa Bianca. Innanzitutto perché la Pennsylvania è il più popoloso tra gli Stati in bilico, e di conseguenza mette in palio il maggior numero di grandi elettori: ben 19. Kamala Harris è chiamata alla vittoria in quello che è storicamente un fortino dei democratici, almeno dal 1992. Negli ultimi anni la demografia ha però cambiato le carte in tavola, soprattutto perché in Pennsylvania si sono trasferiti decine di migliaia di pensionati che lavoravano a New York e in generale sulla East Coast. Bacino elettorale tendenzialmente democratico, ai quali però fanno da contraltare gli altrettanto numerosi abitanti delle zone rurali dove l'industria non è arrivata. E che preferiscono Trump. Nel 2020 Biden si aggiudicò lo Stato per appena 81mila voti. Quattro anni prima Trump lo strappò alla Clinton per sole 45mila schede in più. Oggi chi vive in Pennsylvania ha detto di essere stato letteralmente bombardato da spot e messaggi elettorali da entrambi i candidati. Secondo un rapporto di AdImpact, da quando Biden si è ritirato dalla corsa presidenziale e ha appoggiato Harris a fine luglio, i democratici hanno speso circa 159 milioni di dollari in pubblicità in Pennsylvania. Anche i repubblicani si sono dati da fare, investendone circa 121 milioni. I cittadini della Pennsylvania hanno votato per il vincitore di ogni elezione presidenziale dal primo governo di Barack Obama (2008). Molti analisti segnalano una propensione per Donald Trump. Quella del tycoon è una ricetta popolare per gli elettori bianchi senza laurea, gli anziani e gli operai, compresi molti che hanno lavorato nelle industrie in declino dell'acciaio, del carbone e della manifattura. Questi costituiscono circa la metà degli aventi diritto. Kamala Harris e i democratici hanno in mano invece molti sobborghi intorno alle grandi città dello Stato, Pittsburgh e Philadelphia.
Un distretto del Nebraska potrebbe decidere le elezioni -
Diamo ora un po' di colore alla competizione elettorale. Tra le migliaia di speculazioni giornaliere sui fattori e sulle aree che si riveleranno decisive per scegliere il nuovo presidente, una delle più interessanti riguarda un distretto del Nebraska. Che potrebbe risultare decisivo nella corsa alla Casa Bianca. In caso di parità tra Kamala Harris e Donald Trump il voto di Omaha, la più importante città dello Stato che nel 2008 parteggiò per Obama e nel 2020 per Biden, potrebbe spostare a favore della candidata dem il risultato finale del collegio elettorale. Questo perché, a differenza di quasi tutti gli altri Stati, che utilizzano il sistema del "winner takes all" ("chi vince, vince tutto"), dal 1991 il Nebraska (assieme al Maine) adotta un sistema semi-proporzionale "per distretto". Una differenza fondamentale in una gara che viaggerà sul filo del rasoio di ogni singolo voto. Consapevole dell'anomalia, la campagna repubblicana ha montato un intenso pressing sui parlamentari statali per cambiare in extremis le regole del gioco. Si è attaccato al telefono lo stesso Trump, che in Nebraska ha inviato il suo luogotenente Lindsay Graham. A sbarrare la strada alle aspirazioni dell'ex presidente si è stagliato però Mike McDonnell, tenebroso senatore statale che qualche mese fa è passato dalle file democratiche a quelle del Gop. Il voto di McDonnell era cruciale: aveva fornito al partito repubblicano la maggioranza dei due terzi necessaria a emendare la carta statale.
Trump o Harris, chi vincerà? -
Chiudiamo con la domanda da un milione di dollari. Senza pretendere di dare o anche soltanto avere una risposta certa. Ma sensata forse sì. Uno scenario possibile vede Harris vincere gli Stati "campo di battaglia" della "Rust Belt" (Wisconsin, Michigan e Pennsylvania), la "cintura arrugginita" che indica la zona più industrializzata d'America che però il governo federale ha sacrificato per mantenere in salute l'impero. Un concetto complesso, ma cruciale per comprendere cosa sono gli Stati Uniti. Gli imperi agiscono in maniera anti-economica, importano massicciamente per tenere legate a sé le province e i satelliti. Gli Usa non fanno eccezione. Il medesimo scenario vedrebbe dunque Trump conquistare gli altri quattro Stati contesi: North Carolina, Georgia, Arizona e Nevada. La Harris arriverebbe così a 269 voti, contro i 268 dello sfidante, che includono i quattro del Nebraska solidamente repubblicani. Il distretto di Omaha diventerebbe così decisivo: se dovesse andare al tycoon, il pareggio tra i candidati rimetterebbe la decisione nelle mani della Camera dei Rappresentanti, dove l'ex presidente è favorito. Se fosse invece la vicepresidente a centrare il bis di Obama, le chiavi della Casa Bianca sarebbero nelle sue mani.