UN GRANDE RITORNO

Stewart Copeland smonta e ricompone i Police con un'orchestra: si diverte e fa divertire

Il batterista dello storico trio ha suonato a Milano raccontando una storia di ricerca e di esplorazione musicale e generando una gran bella esperienza condivisa oltre la nostalgia. Con lui sul palco, tra gli altri, anche Faso, il bassista di "Elio e le storie tese"

di Domenico Catagnano

© IPA

È il 1985, sono passati più o meno due anni dallo scioglimento dei Police, ed esce "The Rhytmatist", di fatto il primo album da solista di Stewart Copeland, il batterista del gruppo, che già qualche mese prima aveva dato una svolta alla sua carriera scrivendo la colonna sonora del film "Rusty il selvaggio". "The Rythmatist" è un gioiellino che mescola rock e world music, nasce dai viaggi di Copeland in Africa dove aveva collaborato con diversi musicisti locali per catturare l'essenza dei ritmi del continente.
(Nota a margine: concedetevi qualche minuto e ascoltate "Serengeti Long Walk", forse la traccia più riuscita dell'album, per farvi un'idea)

È probabilmente corretto iniziare da qui, da quel che c'è stato dopo i Police, per cogliere la grandezza e la genialità di uno spirito curioso e amante della sperimentazione come Copeland, che in questi ultimi quarant'anni è passato dalle colonne sonore per cinema e tv all'opera e al teatro, componendo musiche per i videogiochi non abbandonando il rock, con puntatine verso il jazz fino ad arrivare alla "nostra" taranta, dirigendo il festival salentino nel 2003.

Ma certi amori non finiscono e la musica dei Police (con cui era tornato a suonare per il tour-evento del 2007) è tornata a stimolare la creatività del batterista. Il risultato è stato "The Police Deranged for Orchestra", prima un disco e ora un live presentato venerdì 18 ottobre agli Arcimboldi di Milano (la sera prima era toccato a Ferrara) nel quale Copeland ha ripreso il meglio del repertorio del suo gruppo storico rimescolandolo per un'orchestra, in questo caso la "Città di Ferrara" composta da 27 elementi. 

L'ovazione finale con il pubblico in piedi a ballare sulle note di "Every Little Thing She Does Is Magic" è stato il coronamento di una serata che è andata oltre la semplice celebrazione dolcemente nostalgica della musica dei Police. Copeland, accompagnato anche al piano da un gigante come Vittorio Cosma, al basso da Faso degli Elio e le Storie tese e alla chitarra da Gianni Rojatti, con incosciente ma allo stesso tempo lucida spericolatezza ha scomposto e ricreato, senza rinunciarci, il reggae rock spruzzato di punk dei Police con la classicità degli archi, dei fiati e delle percussioni di un'orchestra.

Con un terzetto di voci soul (Sarah-Jane Wijdenbosch, Laise Sanches e Raquel Brown) lontanissime dalla vocalità di Sting, pezzi come "Roxanne", "Every Breath You Take", "Can't Stand Losing You", "Spirits In the Material World", "Message in a Bottle", "Walkin on the Moon", sono stati vestiti a nuovo: non si è trattato solo di risuonare note familiari, ma di rielaborarle con freschezza e profondità, come se Copeland stesse svelando il loro nucleo emotivo. Ogni colpo sulla batteria, ogni "carezza" sui piatti, ogni arrangiamento orchestrale ha raccontato una storia di ricerca e di esplorazione musicale generando un'esperienza condivisa. 

Tanta musica ma anche tante parole, perché Stewart è un gran bel padrone di casa che dialoga divertito col pubblico e ricorda, tra una battuta e l'altra, quel certo Gordon Matthew Sumner che ha scritto gran parte delle canzoni che saranno poi eseguite nel corso della serata. "Quell'uomo è un genio", dice ancora riferendosi a Sting, con il quale, come ha dichiarato in diverse interviste, ha sanato le vecchie ruggini con abbracci e risate anche se i due, a quanto pare, per evitare tensioni quando si incontrano preferiscono non parlare più di musica. Chissà come mai.