"Ha fatto una c...a, ma proprio una grande c...a, con la "C" maiuscola. Ma lo ha fatto perché lui era così, non poteva essere diversamente. Giacomo si buttava nelle cose, d'istinto, senza pensarci". Così al Corriere Luca Gobbato, padre del ragazzo accoltellato a morte a Mestre mentre difendeva una donna rapinata. "Se c'era da aiutare si lanciava, senza ragionare sui pericoli - racconta -. Amava e si faceva amare".
Venerdì sera, prosegue, "ero stato invitato al compleanno di un amico insegnante che festeggiava i 45 anni in un bar a Mestre. Così sono partito da Jesolo e ho chiamato lui e il suo amico Sebastiano. Ho detto: venite a bere una birra anche voi e ci siamo trovati lì. Finito il compleanno io sono ripartito".
"Giacomo e Sebastiano sono rimasti ancora, poi si sono incamminati. So solo che quando ormai ero alle porte di Jesolo paese, quasi a casa, l'amico mi ha richiamato e mi ha detto: 'Torna subito indietro, hanno accoltellato Giacomo'. Con il cuore in gola ho invertito la marcia".
"Arrivato lì di nuovo non ho potuto vedere mio figlio. Era già dentro a un'ambulanza. La dottoressa mi ha detto: 'Stiamo facendo il possibile. Ma le dico già che le condizioni sono gravissime'. Ho chiamato la mamma, Valentina. Noi siamo separati. Lei ancora non aveva saputo niente. Abbiamo raggiunto l'ospedale e siamo rimasti in attesa fino alla fine".
"Al pronto soccorso c'erano "tutti i 'compagni del centro Rivolta'. Compagni, dico io nel più alto senso del termine. Perché se posso non essere d'accordo con l'ideologia, siamo rimasti colpiti da tanta solidarietà, dalla partecipazione".