Nel processo per la morte di Serena Mollicone, la corte d'Assise d'Appello di Roma ha confermato l'assoluzione di Franco Mottola, della moglie Anna Maria e del figlio Marco. La ragazza fu trovata senza vita in un boschetto ad Arce, centro in provincia di Frosinone, il primo giugno del 2001. "Sono molto amareggiata. Questa non è giustizia", è stato il commento a caldo della sorella della vittima.
Le richieste dell'accusa -
L'accusa aveva chiesto la condanna del maresciallo dei carabinieri Franco Mottola, a 24 anni, di sua moglie Annamaria, a 22 anni, e del loro figlio Marco, a 21 anni. Aveva chiesto invece l'assoluzione degli altri due imputati, i carabinieri Francesco Suprano, per prescrizione, e Vincenzo Quatrale, perché gli indizi non hanno raggiunto la consistenza di prova.
Marco Mottola: "Finito incubo creato dalla stampa" -
La sentenza è stata accolta in un silenzio irreale. Franco e Marco Mottola, visibilmente commossi, hanno abbracciato gli avvocati. "L'incubo l'avete causato voi giornalisti": sono state le parole pronunciate da Marco Mottola dopo l'assoluzione. E a chi chiedeva al padre se fosse stata fatta giustizia Franco Mottola, lasciando il tribunale, ha detto: "Certo".
La famiglia di Serena Mollicone condannata al pagamento delle spese processuali -
I giudici della corte d'Appello di Roma, hanno condannato al pagamento delle spese processuali tutte le parti che, dopo la sentenza di assoluzione di primo grado, hanno proposto il ricorso in Appello: tra loro i familiari di Serena Mollicone. Condannati a pagare le spese anche i parenti del brigadiere Tuzi, morto suicida nel 2008, il comune di Arce e il ministero della Difesa. Serena Mollicone sparì di casa il primo giugno del 2001 e fu trovata morta dopo tre giorni nel bosco Fonte Cupa.
Il parallelismo con la morte di Marco Vannini -
Nelle conclusioni della requisitoria l'ufficio del procuratore generale, così come avvenuto nel corso del processo di primo grado a Cassino, aveva richiamato il parallelismo tra la tragica morte di Serena e quella di Marco Vannini, il giovane che fu ferito a morte a Ladispoli, in provincia di Roma, nel 2015 da un colpo di pistola mentre era a casa della sua fidanzata, Martina Ciontoli, esploso dal padre di quest'ultima, Antonio. Il pg ha fatto riferimento all'obbligo di "garanzia e di protezione dei titolari dell'abitazione nei confronti di persone da loro ospitate che si trovino in pericolo di vita".
L'impianto accusatorio -
Per l'accusa, invece, dopo che Marco Mottola fece sbattere la testa della ragazza contro una porta della foresteria della caserma dell'Arma, nessuno mosse un dito, non fu soccorsa e, di fatto, lasciata morire e poi abbandonata nel bosco dove venne ritrovata. Nel corso delle repliche il pg ha ribadito l'impianto accusatorio affermando che Serena "è rimasta per molte ore in stato di incoscienza, dopo essere stata scaraventata contro la porta della foresteria della caserma prima di essere soffocata".
Secondo l'impianto accusatorio Franco Mottola, mise in atto il piano per "coprire" il figlio, sbarazzarsi del corpo e, nel corso delle prime indagini a lui affidate, depistare. Una morte, era il convincimento del pg, legata a una azione "concorsuale" di tutta la famiglia Mottola. "Tutte e tre l'hanno soffocata con il nastro adesivo", ha detto in aula il pg durante la requisitoria. Quella della 18enne è stata una lunga agonia, durata quasi dieci ore. Una fine tragica che, però, potrebbe non avere responsabili.