Si è lasciato alle spalle una scia di devastazione e già sette vittime. Stiamo parlando dell’uragano Beryl, che ha colpito le isole sudorientali dei Caraibi negli scorsi giorni.
Ieri si è poi spostato sulle coste della Giamaica e nei prossimi giorni proseguirà verso lo Yucatan, in Messico.
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Fra lunedì e martedì ha raggiunto la categoria 5, con venti a oltre 255 km orari, il livello più alto nella scala Saffir-Simpson con cui vengono classificate le tempeste tropicali. È poi sceso a 4, sempre "estremamente pericoloso" e con venti fino a 250 km/h.
Mai prima d’ora un evento di questa portata era stato registrato nell’Atlantico in questo periodo, addirittura in anticipo di un mese sulla media della stagione. Infatti, secondo la National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) statunitense, i primi grandi uragani (di categoria 3 o superiore) iniziano a formarsi solitamente a fine agosto o inizio settembre.
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A preoccupare gli esperti è che Beryl possa non essere un’eccezione, bensì un assaggio di qualcosa che i cambiamenti climatici trasformeranno nella normalità. La responsabile principale della nascita e della potenza di un uragano è infatti la temperatura dell’oceano, che ormai da più di un anno è a livelli record. Pensate che a maggio era giù vicina a quella prevista per agosto. Per questa stagione la NOAA ha inoltre previsto tra le 17 e le 25 tempeste, di cui da 8 a 13 diventeranno uragani.
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Finché il Pianeta continuerà a scaldarsi, Beryl sarà solo il primo di una lunga serie di eventi estremi a cui dovremo – purtroppo – abituarci.