Per il gala di apertura del ristorante Ambassadeurs a Parigi, Schiaparelli indossò un abito dipinto da Dunand, con una stola di piume di cigno.
Nel marzo del 1932, la reputazione di Elsa Schiaparelli era già definita: imprenditrice poliedrica, confondeva i confini tra moda e arte e tra vita e arte. Un enigma glorioso che era (a seconda di chi se lo chiedesse) un mistero o uno scandalo, che colpiva per la sua libertà, la sua mancanza di inibizione e la sua manifesta incapacità di preoccuparsi delle convenzioni.
Come disse di lei il suo caro amico Salvador Dalí: “Nessuno sa come si dice Schiaparelli, ma tutti sanno cosa significa”.
Nove anni dopo, per il gala di apertura del ristorante Ambassadeurs a Parigi, Schiaparelli indossò un abito dipinto da Dunand, con una stola di piume di cigno, elegantemente avvolta intorno alle spalle. Si trattava di un omaggio alla grande ballerina Anna Pavlova, morta nello stesso anno, con la quale Schiaparelli veniva spesso scambiata per i suoi capelli corti e neri e i suoi lineamenti affilati. Ma se Pavlova è sempre stata associata alla sua iconica performance ne “Il Cigno Morente”, Schiaparelli è stata una Fenice, una creatura magica il cui potere risiedeva nell’incessante capacità di reinventare non solo sé stessa, ma anche la moda.
Il contesto di questa collezione, che onora il singolare potere di rinascita di Elsa, è secondo solo alla sua formula. Ogni pezzo è chiaro nella sua silhouette e nella sua tecnica. È possibile vedere le origini di ogni look, come ognuno sia passato dal bozzetto, allo studio e al tessuto. Soprattutto, ogni abito è destinato a suscitare qualche tipo di emozione, anche se— parafrasando Hemingway —un’emozione profondamente controllata.
Questo disegno più ampio è l’universo in continua espansione della Maison Schiaparelli. Recentemente mi è stato detto che “la gente non compra Schiaparelli, la colleziona”. Questo tipo di fedeltà è ispirata esclusivamente da un rapporto unico tra cliente e creazione. È questo che rende la Haute Couture così speciale: è l’espressione della mia visione della Maison oggi, libera dal marketing e dal merchandising. Ma è anche qualcos’altro: un modo per onorare questo rapporto, uno dei più intimi al mondo, quello in cui do alle donne il potere di rinascere, ancora e ancora e ancora. Daniel Roseberry.