Quando nessuno interviene

Sindrome dello spettatore: c’è un’emergenza e tutti restano a guardare

La tendenza a non intervenire in una situazione di pericolo è un fatto reale e ha una spiegazione scientifica

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Molte situazioni di emergenza si verificano sotto gli occhi di numerosi testimoni persone; eppure, nessuno alza un dito per prestare aiuto, ma semmai si mette a riprendere la scena con il proprio smartphone. Questo comportamento, che ogni volta suscita aspre polemiche soprattutto tra i parenti delle eventuali vittime, è stato ampiamente studiato da psicologi e sociologi, ed è così comune da avere addirittura un nome: si chiama “effetto spettatore” o “apatia degli astanti” e ha un’aggravante inquietante: più è numeroso il gruppo che assiste a un evento potenzialmente critico, meno è probabile che qualcuno intervenga se serve una mano.

CHE COS’È L’EFFETTO SPETTATORE – In inglese è chiamato “bystander effect”: è il fenomeno psicologico e sociale che si verifica nel momento in cui una persona, o un gruppo di persone, pur assistendo a un evento critico, non offre alcun aiuto alla vittima. Quando poi all’emergenza assiste un gruppo di testimoni, l’apatia degli spettatori si moltiplica, tanto che le probabilità che qualcuno intervenga è inversamente proporzionale al numero dei presenti e si tratta di uno dei fenomeni più conosciuti e studiati della psicologia sociale.  Il primo caso in cui è stato rilevato e analizzato scientificamente risale a un fatto di cronaca avvenuto nel 1964, quando a New York una giovane donna di nome Kitty Genovese fu aggredita e accoltellata nei pressi della sua abitazione. Come raccontano gli articoli di cronaca del periodo, la scena si protrasse per circa 30 minuti e delle 38 persone che vi assistettero, tra vicini di casa e altri testimoni attirati dalle urla della ragazza, nessuno intervenne per prestarle soccorso. La vicenda fece scalpore, sia per l'efferatezza del crimine, ma soprattutto per l'immobilismo dei presenti: il caso divenne perciò oggetto di studio, per individuare la ragioni di un comportamento che, in un primo momento, fu spiegato genericamente con la “perdita dei valori” della società.

IL PERCHÉ DELL’”APATIA DEGLI ASTANTI” – Gli psicologi John Darley e Bibb Latané furono tra i primi a studiare il fenomeno e a chiamarlo con il nome di “bystander effect”: nel 1968 si adoperarono per riprodurre in laboratorio una situazione in cui una donna era in apparente stato di pericolo, per testare le reazioni di alcuni testimoni, considerando il loro comportamento sia come singoli che come gruppo. Il primo risultato evidente è che, in presenza di un singolo testimone, la vittima riceveva soccorso in circa il 70% dei casi, tramite un intervento diretto o chiamando i soccorsi. Se invece ad assistere alle richieste di aiuto era un gruppo di persone, solo il 40% dei presenti faceva qualcosa. Gli studiosi notarono che l’”effetto spettatore”, oltre che dal numero di persone presenti, era influenzato anche da una serie di altre circostanze, tra cui la gravità del danno in cui poteva incorrere la vittima, il fatto che la situazione fosse insolita o prevedibile, l’urgenza con cui occorre intervenire e l’eventuale relazione che intercorre tra vittima e soccorritore (ad esempio se si trattava di un parente o amico). Tra le motivazioni che i due studiosi individuarono per spiegare l'apatia degli astanti c’erano la percezione di un basso grado di responsabilità nei confronti della vittima, e di conseguenza la convinzione di non avere il dovere di agire, e la convinzione che, tra i presenti, ci fosse qualcuno più adatto e più abile nell'intervenire.  Il fatto poi di trovarsi a essere in gruppo, inoltre, induceva i testimoni a sottostimare la gravità degli eventi e portava alla diluizione del senso di responsabilità nel chiamare i soccorsi o nell'intervenire: in pratica, il semplice fatto di osservare che nessuno prendeva iniziative, induceva gli altri a un maggiore immobilismo.

GLI STUDI PIÙ RECENTI – Queste conclusioni così poco lusinghiere sono state in parte corrette da alcuni studi più recenti. Uno di essi, realizzato nel 2011 e pubblicato sulla rivista scientifica American Psychological Association, propone una lettura aggiornata del fenomeno; in base a nuovi test, è stato notato che la propensione a intervenire in soccorso di una vittima aumenta se ci si rende conto della gravità della situazione, se la vittima ha subito un danno fisico e se l'autore della minaccia è ancora presente sulla scena. Inoltre, quanto più è grave l'emergenza, tanto più il testimone è stimolato ad agire, anche a dispetto del rischio che l'impresa comporta. Un ulteriore studio, realizzato dallo psicologo sociale Richard Philpot delle Università di Lancaster e Copenhagen ha analizzato centinaia di filmati raccolti dalle telecamere di sorveglianza nelle zone centrali di tre diverse città (Lancaster, Amsterdam e Città del Capo), isolando 219 conflitti con vario livello di aggressività (dall'attacco verbale a quello fisica con un coltello e addirittura con un machete), nel quale fossero coinvolte almeno due persone. A sorpresa, e contravvenendo al "bystander effect", nel 91% dei casi una o più persone sono intervenute per sedare la rissa, cercando di tranquillizzare i litiganti o interponendosi fisicamente tra loro. Gli studiosi hanno spiegato questa apparente contraddizione ipotizzando che l’effetto spettatore si manifesti in laboratorio più che nella vita reale. In ogni caso, non si possono dimenticare i casi riportati dalla cronaca, con scene di violenza e di pericolo in cui i presenti, invece di intervenire, si limitano a osservare attoniti e, peggio ancora, a riprendere le scene con i telefonini: resta pur vero che, dopo aver chiamato i soccorsi e delegato l’intervento a chi è in grado di agire in modo efficace e con minor rischio, spesso un testimone non può fare altro.