FINO AL 1 SETTEMBRE

Rovereto, l'arte del fascismo in mostra al Mart

Fino al 1 settembre opere, documenti, riviste e progetti originali del ventennio per l'esposizione "Arte e fascismo" nata da un'idea di Vittorio Sgarbi 

di Lorella Giudici

Rovereto indaga l'arte del ventennio con la mostra "Arte e fascismo" al Mart fino al 1 settembre. Nata da un’idea di Vittorio Sgarbi e curata da Beatrice Avanzi e da Daniela Ferrari, presenta opere, documenti, riviste e progetti originali dei principali protagonisti di uno dei periodi più difficili della storia d’Italia. 

L'arte durante il fascismo -

 Diversamente da altri regimi, quello fascista, almeno inizialmente, non aveva voluto imporre un gusto. Mussolini era intervenuto all’inaugurazione della prima mostra dei sette Artisti del Novecento, tenutasi nel 1923 alla Galleria Pesaro di Milano, dichiarando di non voler incoraggiare un’arte di stato, in quanto “L’arte rientra nella sfera dell’individuo. Lo Stato ha un solo dovere: quello di non sabotarla […]”.

La mancanza di un unico orientamento (almeno fino al 1938, anno delle leggi razziali) ha di fatto facilitato lo sviluppo di un’eterogenea e dinamica presenza di espressioni e di correnti vicine od ostili al regime: dal Futurismo di Marinetti e Depero al “ritorno all’ordine” del Novecento italiano, dall’astrattismo del Milione al chiarismo lombardo, a Corrente, la compagine milanese a cui facevano capo Treccani, Migneco, Guttuso e altri dissidenti. Il rapporto tra gli artisti e il potere non è stato dunque univoco: accanto a figure dichiaratamente fasciste si sono mossi artisti che ne sono rimasti distanti o apertamente contrari.

La mostra -

 Il percorso espositivo tenta di ricostruire buona parte di queste dinamiche in otto sezioni cronologiche e tematiche. Vediamole.

 La mostra si apre con il Novecento italiano, il movimento promosso da Margherita Sarfatti e che ha cercato nelle radici dell’arte italiana del ‘400 e ‘500 i riferimenti formali per esprimere la contemporaneità e per sorreggere l’immagine di un’umanità sempre più attonita. Si prosegue con una sezione dedicata all’iconografia del Duce (L’immagine del potere), dove nelle sculture di Thayaht e di Bertelli la testa di Mussolini si trasforma in un elmo metallico o nella sintesi di un profilo che ruota di 360 gradi, metafora di colui che tutto vede e tutto controlla.

Si passa poi al Futurismo che con il fascismo ha condiviso il mito dell’azione, l’interventismo, l’estetica della guerra e dei mezzi meccanici, il fascino della scienza e della tecnica, ma poi si scopre che i rapporti tra Mussolini, Marinetti e gli altri protagonisti del movimento sono stati complessi e altalenanti. L’avanguardia non è di fatto riuscita a ritagliarsi un ruolo da protagonista nella politica culturale del governo, come si evince dal limitato coinvolgimento di artisti (quali Prampolini, Balla e Depero) nelle grandi committenze statali e dalle poche opere entrate nelle collezioni pubbliche.

All’arte monumentale è dedicato un ampio spazio, non solo perché largamente sostenuta dal governo, ma anche per gli straordinari esiti raggiunti. Il Manifesto della pittura murale, firmato da Sironi, Funi, Campigli e Carrà nel 1933, aveva saputo sottolineare il merito collettivo e morale della grande decorazione, la sua destinazione sociale e la sua capacità di esprimere valori e ideali. L’arte pubblica, diversamente da quella da salotto, aveva il pregio di essere accessibile a tutti e Sironi credeva nella rinascita della complementarietà tra arte e architettura.

“Quando si dice pittura murale” scriveva l’artista “non s’intende dunque soltanto il puro ingrandimento sopra grandi superfici di quadri che siamo abituati a vedere […]. Si prospettano invece nuovi problemi di spazialità, di forma, di espressione, di contenuto lirico o epico o drammatico”. Il terreno di prova si è visto nell’imponente piano di edificazione voluto dal regime, con scuole, stazioni, palazzi di giustizia e delle poste, case del fascio, complessi sportivi (come il Foro Mussolini) che hanno dato modo agli architetti dell’epoca di interpretare il linguaggio internazionale del Razionalismo (con Luigi Figini, Gino Pollini e Giuseppe Terragni) oppure di conciliare le forme essenziali dell’architettura moderna con una monumentalità che, dopo la metà degli anni Trenta, il regime aveva imposto con sempre maggiore insistenza e che ha avuto nell’EUR, il nuovo quartiere a sud di Roma, il suo modello più ambizioso (1942).

Con il regime sono nati nuovi miti, non solo dell’eroe e dell’atleta, ma anche del lavoratore, della donna, della famiglia, tutti esempi di un sistema sociale virtuoso e fiero, retto da valori etici e collettivi inappuntabili.

Una parte importante è stata svolta dal sistema delle arti che, tra quadriennali, biennali, mostre sindacali, concorsi e un capillare apparato di premi (come il Premio Bergamo o il Premio Cremona), sovvenzioni ed esposizioni in Italia e all’estero, ha dato visibilità e forza a una svariata moltitudine di artisti ed ha garantito una certa pluralità di linguaggi.

Con la promulgazione delle leggi razziali, però, tutto cambia. Pittori, scultori e architetti di origine ebraica si sono visti negare il diritto di progettare, insegnare, esporre e vendere le proprie opere, molti sono stati costretti ad andarsene, di quelli rimasti tanti sono stati deportati e troppi sono morti nei campi di concentramento. L’arte ha raccontato a gran voce anche questa parte di storia.

L’ultimo capitolo della cospicua rassegna (con più di 400 pezzi tra opere e documenti) documenta la caduta della dittatura, la fine di un’era tra iconoclastia, satira e dramma. Tra la fine degli anni Trenta e l’inizio degli anni Quaranta si sono scorti i primi segni della crisi ed è poi arrivato il tempo di una critica dura e implacabile. Uno dopo l’altro sono caduti i simboli del potere e anche le effigi del dittatore, che erano state oggetto di culto, sono state colpite dalla furia iconoclasta, come ci ricorda il busto del Duce, modellato in bronzo da Adolfo Wildt, danneggiato dai partigiani nei giorni della Liberazione ed esposto con tutte le parti lese.