"Ricordo di avere ricevuto una telefonata di Marco Mottola che mi disse che era stato interrogato dagli inquirenti che gli chiesero dove si trovasse il 1° giugno del 2001 e se fosse andato in un determinato bar. Poi aggiunse: 'ho detto che non mi ricordavo e che certamente se sono stato in quel bar l'unica persona con cui potevo stare eri tu'. E infine concluse con 'sicuramente chiameranno anche te'. Ma io in quel bar non ci sono mai stata'". È quanto ha riferito in aula Laura Ricci, fidanzata con Marco Mottola nel 2002, nel corso del processo di appello sull'omicidio di Serena Mollicone, la ragazza di Arce, centro in provincia di Frosinone, uccisa nel 2001. Nel processo è imputata per concorso in omicidio l'intera famiglia del maresciallo Mottola, che è stata assolta in primo grado.
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"Di essere stata in quel bar - ha aggiunto, sentita come teste, Laura Ricci, ex fidanzata di Marco Mottola, imputato insieme alla madre Annamaria, al padre Franco, ex comandante della stazione dei carabinieri di Arce, e i militari Francesco Suprano e Vincenzo Quadrale - non potevo confermarlo perché non c'ero".
"Ricordo Marco Mottola, con cui sono stata insieme nel 2002, quasi un anno dopo l'omicidio di Serena, come un ragazzo che si lasciava scivolare tutto addosso e quasi incapace di reagire violentemente anche alle provocazioni. Secondo me non era capace di uccidere. L'unica volta che lo vidi preoccupato e dispiaciuto fu quando con la famiglia andarono via da Arce. Marco fumava, oltre alle normali sigarette, anche hashish e marijuana. Marco Mottola mi chiese una scheda telefonica, che apparteneva a lui. All'epoca avevo 17 anni, mi ero fatta una certa idea, ma poi più tardi ho rivalutato le mie opinioni, ho pensato di essere stata usata e strumentalizzata da lui", ha affermato, facendo riferimento all'alibi.
"Di Marco pensavo che fosse un ragazzo normale e non forte dal punto di vista fisico - ha aggiunto -. Non era un carattere forte, non assumeva posizioni, annuiva, se ne fregava". E ancora: "Quando cominciarono a girare voci su di lui che lo collegavano al delitto ricordo che stava male. Ho sempre pensato che se mai avesse potuto fare una cosa del genere si sarebbe fatto aiutare da altri", ha ricordato la donna in aula.
Davanti ai giudici della corte d'Assise d'Appello di Roma, dopo 23 anni dal delitto di Serena Mollicone, la studentessa di Arce (Frosinone) di 19 anni, ritrovata morta nel bosco di Fontecupa, nel comune di Fontana Liri, in Ciociaria, si è cercato, dunque, ancora una volta, di mettere ordine tra le dichiarazioni dei testi in aula e di far riemergere la verità, nonostante i tanti "non ricordo" e "in corte d'Assise non avevo detto questo" pronunciati dai testi.
Ma, così, le testimonianze di compaesani della vittima e forse anche dell'assassino sembrano alimentare più i dubbi che le certezze sulla ricostruzione dell'omicidio.
E un colpo di scena, anche se negli atti d'indagine era già emersa la circostanza, è stato il racconto di Mariapia Fraioli, nipote del carrozziere Carmine Belli, accusato del delitto e poi assolto in Cassazione, mai sentita in primo grado in corte d'Assise a Frosinone, che nella sua deposizione si è soffermata su un particolare che potrebbe dare nuova linfa al debole quadro accusatorio.
Quando "rientrai a casa nel primo pomeriggio del 2 giugno (il giorno dopo la scomparsa di Serena Mollicone, ndr) - ha riferito la nuova teste - trovai mio zio Carmine Belli: gli chiesi 'hai saputo chi è scomparsa?' Lui disse di no. Allora gli feci vedere un volantino con la foto di Serena che avevamo per le ricerche. Lui mi disse che l'aveva vista venerdì mattina litigare davanti al bar Chioppetelle con un ragazzo biondino e che lei piangeva. Disse 'è proprio lei'. Per questo lo invitai ad andare in caserma per dire che l'aveva vista. Disse che Serena aveva pantaloni neri e una maglietta rossa. Del ragazzo disse che era biondino e alto quanto Serena".
Nella prossima udienza del 16 maggio verrà ascoltato anche Carmine Belli, con altri tre testimoni.