La prova scritta del concorso docenti 2024, andata in scena tra l’11 e il 19 marzo scorsi, era troppo facile? Qualcuno sostiene di sì, poggiando la sua tesi sulla quota record di persone che sono riuscite a superare la soglia minima per passare all’orale, fissata a 70 punti su 10: a farcela è stato, infatti, quasi il 90% dei circa 185mila candidati.
Ma il Ministero dell’Istruzione e del Merito non ci sta e replica duramente: "È di tutta evidenza la grande superficialità di chi ha inteso giudicare il livello di difficoltà dei 650 quesiti basandosi esclusivamente sulla conoscenza del contenuto di due, tre di questi, scelti forse non casualmente fra i più semplice”, si legge in una nota di Viale Trastevere.
Quasi tutti promossi, ma con punteggi abbastanza bassi
Ma il Ministero, oltre a respingere al mittente le accuse, ha mostrato anche come l’altissimo tasso di promozioni non significhi automaticamente che i quesiti proposti fossero di facile soluzione. Tanto è vero che, la maggior parte di quelli che sono passati allo step successivo, si è piazzata negli scaglioni più bassi di punteggio. Ad esempio, sui 44.615 ammessi all’orale per la scuola dell’infanzia e primaria, il 61,19% - pari a 27.299 aspiranti maestre e maestri - ha riportato un punteggio compreso fra 70 e 81, mentre solo il 4,13% (1.844 degli ammessi) ha totalizzato fra 91 e 96 e appena lo 0,44% (196 degli ammessi) ha raccolto fra 97 e 100 punti. Qualcosa di simile è avvenuto nelle prove per la scuola secondaria: sui 197.894 ammessi agli orali il 52,38% (103.652 candidati) ha riportato un punteggio compreso fra 70 e 81, il 6,20% (12.267 degli ammessi) ha preso fra 91 e 96, solo lo 0,65% (1.277 aspiranti docenti di scuole medie e superiori) ha conseguito tra 97 e 100 punti.
Da Viale Trastevere, inoltre, hanno voluto precisare che "le critiche mosse si fondano esclusivamente su notizie riportate da alcuni siti di informazione scolastica che, a loro volta, hanno pubblicato il contenuto di un numero esiguo di quesiti (due o tre) resi noti da qualche concorrente al termine delle prove". Quando, invece, le prove scritte hanno previsto la somministrazione a ciascun candidato di 50 quesiti a risposta multipla che, moltiplicati per 13 turni di esame (tre per il concorso della scuola dell’infanzia e primaria e dieci per la scuola secondaria), fanno 650 quesiti complessivamente elaborati e oggetto di prova.
Come erano i quiz? Il Ministero riporta alcuni esempi per giudicare
E per convincere i più scettici, dal Ministero sono arrivati pure degli esempi concreti di quanto detto. Con la pubblicazione di una selezione di domande: una "batteria" di 50 quesiti per la prova scritta della scuola dell’infanzia e un altro set di 50 domande per la prova della scuola secondaria, evidenziando quelli che, anche a giudicare dal numero delle risposte esatte fornite dai partecipanti, sono da considerare particolarmente ostici.
Qualche esempio? Come riportato dal sito specializzato Skuola.net, per la primaria (e l’infanzia) sono state bollate come complicate una domanda sullo studio della memoria e del problem solving in relazione alla prospettiva cognitivista e un’altra sul concetto di memoria di lavoro (working memory) proposto dallo psicologo britannico Alan Baddeley. Addentrandoci di più tra le domande del documento, avrebbe dovuto dar del filo da torcere agli aspiranti maestri anche un quiz sul primo ideatore della proposta pedagogica della Philosophy for Children, Matthew Lipman. O, ancora, il test su Powtoon, uno strumento web based che permette di creare presentazioni animate in stile cartoon, o quello sul corretto uso - in inglese - della preposizione "unlike".
Venendo, poi, alla secondaria, anche in questo caso - secondo il MIM - non sono mancate domande spinose. Come quella sul significato delle "funzioni esecutive": processi complessi che permettono di mettere in atto comportamenti flessibili e diretti a un obiettivo. O come quella sul modello di memoria di Atkinson e Shiffrin. Ma tra i quiz da incubo ci sarebbero molti altri quesiti. Da quello sull’imprinting secondo Lorenz oppure, testuale, quello che cita: "A che cosa si riferisce l’espressione “imparare insegnando” (chiamata anche learning by teaching)?". Forse anche un non addetto ai lavori avrebbe potuto intuire che si tratta di "un processo per cui gli studenti sono coinvolti in azioni di insegnamento e attraverso tale azione sviluppano un apprendimento significativo, che porta a una comprensione duratura". Ma, allo stesso tempo, almeno un'altra opzione di risposta avrebbe potuto trarre in errore. Per l'inglese, infine, sono state segnalate come ostili le domande sull'uso del verbo "to look forward to" (non vedere l'ora) e dell'avverbio "obviously".
Una risposta, quella di Viale Trastevere, che si chiude con una nota polemica: "Una informazione come quella apparsa su alcuni media, palesemente superficiale - hanno ribadito dal MIM - contribuisce a creare un clima di discredito qualunquistico verso le istituzioni".