Luoghi lontani

India: Rajasthan, appunti di viaggio

Una terra dai mille contrasti e dalle mille contraddizioni

di Paolo Brinis

 È lo Stato più conosciuto e visitato di tutta l’India. Una regione, il Rajasthan, dai mille contrasti e dalle mille contraddizioni. I colori delle stoffe, dei gioielli, dei vestiti, insieme alla morbidezza delle preziose pashmine, si alternano al grigio dei polverosi marciapiedi dove bivaccano gli ultimi, tra fango e rifiuti.  

Lo sfarzo degli hotel extralusso si contrappone all’indigenza, per quanto dignitosa, delle periferie e dei villaggi. Gli addetti all’accoglienza, all’ingresso degli alberghi più esclusi, quasi dei moderni Maharaja, con turbanti e divise di seta pregiata, sembrano appartenere ad un altro mondo rispetto ai contadini e agli operai che poi vedi appollaiati su camion, rimorchi e trattori.

Un Paese dove il patriarcato è ancora la regola, ogni giorno si celebrano centinaia di matrimoni in stile Bollywood. Nessuna famiglia, nemmeno la più povera, rinuncerebbe mai a questa consolidata tradizione: dai 4 ai 7 giorni di festeggiamenti, con lo sposo in sella ad un cavallo bianco e la sposa in carrozza nel mezzo di un rumoroso corteo di amiche e parenti. Un vero e proprio business, con un indotto che probabilmente vale qualche punto percentuale dell’intero PIL indiano. L’amore però è un’altra cosa: 8 matrimoni su 10 sono infatti combinati dalle famiglie dei futuri sposi, soprattutto nelle zone rurali. 
Il traffico è a dir poco caotico, ma in qualche modo sincronizzato. Nessun veicolo mette la freccia per segnalare un sorpasso o un cambio di direzione. Tutti suonano il clacson, ma nessuno impreca come vediamo nelle grandi metropoli occidentali. I pedoni sembrano danzare sull’asfalto per attraversare le strade ed evitare auto, moto, dromedari ed elefanti, ma senza mai correre. Attenzione poi, qui si guida a sinistra, come in Gran Bretagna, Sud Africa, Australia e Giappone. E talvolta anche contromano.

Nei villaggi del Rajasthan gli abitanti lungo le strade ci vivono, ci lavorano, cucinano, si lavano. Si vendono il pane e i dolci, ma anche le casseforti e le macchine per cucire. E poi le spezie, presenti praticamente in ogni pietanza. I barbieri regolano barbe e capelli mentre al loro fianco anziane donne offrono i prodotti dei campi tra polvere e smog.  
Ma in diversi negozi, il curry, la curcuma e le confezioni di te vengono consegnate ai clienti in borsette di cotone eco-compatibile, per un ambiente più green e pulito. 
Alcuni dettagli, più di altri, ti rimangano nella memoria visiva nel corso del viaggio: i folti baffi degli di molti anziani, i loro sguardi fieri; i turbanti dai colori sgargianti, alcuni lunghi anche quasi 10 metri prima di essere attorcigliati intorno al capo; i bambini di ritorno dalla scuola, orgogliosi delle divise che indossano e sempre sorridenti quando incrociano un viaggiatore occidentale. 

E poi i molti rimandi al periodo coloniale inglese. Soggiornare all’Imperial Palace di Delhi è come tornare indietro ai tempi di Giorgio V. Se ne avete l’occasione, concedetevi il Sunday brunch nel porticato – stupende le colonne verde smeraldo - che guarda il giardino. 
Anche la pratica del cricket (seguitissimo in tv e negli stadi, anche quello femminile) ci rammenta che qui la Corona britannica ha governato per quasi un secolo. E non a caso la Costituzione dell'India ha definito quella hindi e quella inglese le lingue ufficiali per il governo nazionale.  
Un film molto interessante, e da consigliare, per capirne di più sulla conquistata indipendenza dell’india nell’agosto del 1947, è sicuramente “Il Palazzo del Vicerè”.  La regista Gurinder Chadha ricostruisce quegli ultimi mesi di dominazione inglese attraverso la figura di Lord Mountbatten, nipote della Regine Vittoria e da essa incaricato di gestire quella delicata fase di transizione che porterà alla cosiddetta partizione, e la storia d’amore di due giovani indiani, lui induista, lei musulmana, entrambi al servizio del Vicerè. 

Ritornando ai giorni nostri, da Jaipur – la città rosa – a Jodhpur – la città blu – sino a Udaipur – la città dell’aurora – è tutto un proliferare di templi.  Il più affascinante, senza dubbio, quello jainista scolpito nel marmo bianco, con oltre 1400 colonne, risalente al XV secolo, a Ranakpur. Ma altrettanto suggestivo è stato partecipare, a Udaipur, alla preghiera collettiva, cantata al ritmo dei tamburi, nel Jagdish Mandir, tempio hindu fatto costruire nel XVI secolo dal Maharana Jagat Singh. 
Una spiritualità diffusa, dalle molteplici traduzioni. C’è chi si mette in marcia camminando per centinaia di chilometri, alternando canti a preghiere, sventolando bandiere e fazzoletti lungo tutto il percorso scelto per raggiungere la mistica destinazione finale.
Sono migliaia le divinità venerate: da Ganesha, il Dio con la testa di elefante, a Vishnu, il preservatore dell’universo; da Shiva, l’asceta perfetto e Signore di tutti i praticanti dello yoga, a Brahma, il Dio con le quattro braccia. Senza dimenticare Krishna, Dio dalle forme umane, l'ottava incarnazione del dio Vishnu. 
Per non dire degli animali considerati sacri: la mucca in primis, ma anche gli elefanti, i pavoni, i piccioni, le aquile, le scimmie finanche i topi, i serpenti e in qualche modo anche il dromedario. E a proposito di animali, imperdibile - in autunno - la fiera annuale di cammelli e bestiame, che si tiene per una settimana nella città di Pushkar, ai margini del deserto del Thar. Negli stessi giorni qui si tengono anche singolari sfide per stabilire chi ha i baffi più lunghi dello Stato. 

Per visitare il Rajasthan, in linea di massima, sia che vi affidiate a un’agenzia, sia che il viaggio ve lo organizziate per conto vostro, è consigliabile viaggiare con una guida. La nostra, Dharmemdra Tiwari, parlava peraltro un ottimo italiano.  Con lui abbiamo iniziato il nostro tour da Agra, città che con Delhi e Jaipur fa parte del cosiddetto Golden Triangle. Qui sono da visitare assolutamente il Forte rosso, patrimonio mondiale Unesco dell’Umanità, e il Taj Mahal, mausoleo in marmo bianco fatto costruire dall’imperatore Moghul Shahjehan nel 1631 in memoria della moglie morta durante il parto del 14° figlio. 

A 40 chilometri da Agra è obbligatorio invece fermarsi a Fatehpur Sikri, per ammirare la Città fantasma, anch’essa Patrimonio Unesco, edificata nel 1570 secolo per volontà di Akbar il Grande, e abbandonata quindici anni dopo per la carenza d’acqua. 
Era invece il 1876 quando tutti gli edifici di Jaipur vennero fatti dipingere di rosa in occasione della visita del Principe del Galles, il futuro Re d’Inghilterra Edoardo VII. Da allora, per legge, tutti i palazzi del centro storico non possono avere colori diversi.
Il Palazzo del vento, l’osservatorio astronomico, il forte di Amber (per arrivarci, l’ultimo tratto in salita lo si percorre a dorso di elefante) e il Palazzo del Maharaja sono qui i luoghi di maggior interesse. 

A Jodhpur, il forte Mehrangarh domina la città. Blue city viene chiamata, per il colore con il quale i Bramini – gli appartenenti alla casta più elevata della società indiana - decisero di dipingere le loro abitazioni, arricchendone le pareti anche con degli splendidi murales. 
Udaipur è famosa invece per i suoi laghi, per i templi rupestri di Nagda, risalenti al IV secolo, e per il palazzo del Marhana (una parte adibita a museo, l’altra ancora residenza reale della famiglia Mewar). Se però vi sentite più viaggiatori che turisti, concedetevi anche una sosta al mercato della città. Per chi ama i film di 007, alcune scene di Octopussy sono state girate proprio qui a Udaipur, con Roger Moore - nei panni di James Bond - protagonista di un rocambolesco inseguimento lungo le vie della città a bordo di un tuk-tuk (economico e pittoresco taxi a tre ruote simile a un Apecar, molto usato anche oggi). 

Prima di fare ritorno in Italia, in una giornata è possibile infine farsi una sommaria idea di cos’è New Delhi, l’inquinatissima capitale dell’India che conta ormai oltre 28 milioni di abitanti. Anche qui, è all’interno dei luoghi di culto che si scopre l’anima più autentica del Paese. 
Due in particolare ci hanno colpito: il Gurdwara Balgla Sahib, tempio sikh dalle cupole a bulbo dorate, dove ogni giorno vengono serviti gratuitamente migliaia di pasti caldi, e il Birla Mandir, tempo indù edificato nel 1939, al cui interno può accedere chiunque, a prescindere dalla casta di appartenza. 
D’obbligo infine una visita al Rajgat, dove venne cremato il Mahatma Gandhi.