Vladimir Putin è come il gatto di Schrödinger dentro una scatola elettorale: è sempre all'ultimo mandato, ma governa la Russia da un quarto di secolo. Definito dalla pletora occidentale dittatore, zar e assassino, ma per molti altri un modello di statista e uomo forte da ammirare. Per restare al potere (sulla carta può restarci fino al 2036) ha modificato la Costituzione con un emendamento che azzera i mandati presidenziali precedenti e stabilisce un massimo di due consecutivi. In altre parole: Putin potrebbe restare presidente per altri 12 anni (ogni mandato dura sei anni). Praticamente a vita. Ma vincerà di sicuro le elezioni in Russia? L'esito è davvero così scontato? Dal 2000 a oggi Putin ha costruito un sistema di potere che vede in lui l'arbitro più che lo zar, più il centro di una circonferenza che il vertice di una piramide. Alle presidenziali del 15-17 marzo 2024 i suoi sfidanti sono tre, scelti appositamente perché considerati innocui o comunque vicini allo status quo.
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Le elezioni in Russia viaggiano su binari paralleli rispetto all'Occidente. Di fatto non sono definibili elezioni, e perciò non vanno valutate con occhi occidentali. Certamente non rappresentano un voto democratico in senso americano ed europeo: nella Federazione si assiste più a un plebiscito, senza alcuna dialettica o contenzioso reale. Una scelta consapevole e fieramente anti-occidentale, che persegue un diverso sistema di forze politiche e di valori. "Andate a votare per la patria", ha chiesto Putin agli elettori. Ed è proprio il nazionalismo atavico ed esasperato in tutto l'immenso territorio russo la chiave per comprendere la presa del numero uno del Cremlino sulla popolazione. Soprattutto di quella che vive lontana dalle metropoli cosmopolite di Mosca e San Pietroburgo e che, tramontato il comunismo sovietico, ha trovato nel patriottismo imperiale e ortodosso un nuovo principio unificatore di tutte le etnie e le classi sociali. Eppure anche nelle repubbliche etniche e nei territori più sperduti della Federazione Russa questo sistema ha cominciato a scricchiolare: proteste e agitazioni si sono susseguite a ritmi maggiori, costringendo Putin e gli apparati ad agire di conseguenza.
La legge ad personam di Putin -
La Costituzione russa è stata emendata in modo da "non impedire alla persona che ha ricoperto o ricopre la carica di presidente della Federazione russa, al momento dell'entrata in vigore della modifica, di partecipare come candidato alle elezioni presidenziali". La successiva approvazione da parte della Corte Costituzionale e il referendum nel 2020 ne hanno cementato la legittimità. L'avvicendamento alla presidenza con l'estremo Dmitrij Medvedev, al Cremlino dal 2008 al 2021 e aspirante Delfino per il dopo-Putin, non è piaciuto molto ai cittadini russi ma è servito per "spezzare" la continuità dei mandati, poi "azzerati" dall'emendamento costituzionale. Nel 2012 Putin ha dunque di fatto ricominciato daccapo la sua avventura alla guida del Paese, legittimandone la fattibilità. Dal punto di vista formale, infatti, Putin si è sempre sforzato di non uscire mai dal perimetro delle leggi federali, al netto di tutti i misfatti "sommersi" che sono ben noti.
Chi sono i candidati che sfidano Putin -
Nonostante l'esito scontato, la dinamica elettorale in Russia concede sempre almeno la parvenza della pluralità elettorale. A sfidare Putin alle presidenziali sono tre candidati provenienti da un'opposizione che nella Duma non ha mai ostacolato le politiche del Cremlino (compresa la repressione del dissenso e la guerra in Ucraina) e che, di fatto, lavora con gli apparati dello Stato. Il primo della lista è Leonid Slutsky, leader nazionalista del Partito liberaldemocratico (Ldpr), soprannominato "l'Harvey Weinstein russo" perché accusato di molestie sessuali da parte di tre giornaliste. La sua vicinanza al regime putiniano sarebbe testimoniata dalla decisione (pilotata) di scagionarlo da parte della Commissione etica della Duma e dal ruolo che Slutsky ricopre nel gruppo negoziale con l'Ucraina. Per il Partito Comunista russo corre invece il 75enne Nikolai Kharitonov, il più anziano del gruppo, che ritenta la candidatura dopo le elezioni del 2004, quando arrivò dietro Putin con il 13,6% dei voti. Anche lui è uno degli "uomini del presidente", messo a capo della Commissione parlamentare per lo sviluppo dell'Estremo Oriente Russo e dell'Artico. Il terzo e ultimo sfidante è Vladislav Davankov, ex impreditore agricolo ed ex membro del Partito Nuovo Popolo che, coi suoi 40 anni da compiere proprio l'ultimo giorno delle elezioni, è il più giovane candidato alle presidenziali. E' stato vicepresidente della Duma e, nel 2021, ha fallito nel tentativo di diventare sindaco di Mosca.
Come si vota e come funzionano le elezioni in Russia -
Il sistema elettorale della Russia può essere definito misto, in cui la metà dei seggi (225) viene distribuita tramite sistema proporzionale a circoscrizione unica, cioè un solo seggio federale corrispondente all'intero Paese, con liste bloccate e soglia di sbarramento al 5%. L'altra metà è invece assegnata tramite collegi uninominali (formati da 488mila elettori ciascuno) con sistema maggioritario a turno unico. Quest'anno, per la prima volta nella storia della Federazione, le elezioni si svolgono su più giorni e i cittadini potranno anche votare online. Secondo molti osservatori internazionali, questi cambiamenti sacrificano ancora di più la trasparenza delle consultazioni. In un sistema in cui l'accesso alle elezioni è altamente controllato dal Cremlino. Gli stessi analisti segnalano l'illegittimità delle pratiche di voto nelle regioni ucraine occupate e annesse unilateralmente da Mosca: Crimea, Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Kherson. Alle urne sono chiamati in tutto oltre 112 milioni di persone. Non è tutto. Per garantire un'apparente pluralità, i partiti hanno il diritto di presentare candidati se sono presenti con una sede certificata dal ministero della Giustizia in almeno 43 regioni (oblast, repubbliche o territori) della Russia. Il partito viene tuttavia escluso dai giochi se non ha partecipato alle elezioni almeno una volta negli ultimi 7 anni. Sulla carta ogni partito può correre senza l'obbligo di raccolta di firme, a patto che abbia ottenuto almeno il 3% dei voti alle elezioni precedenti o se ha conquistato almeno un mandato nei parlamenti regionali. In caso contrario, per partecipare alla tornata elettorale le formazioni politiche devono raccogliere almeno 200mila firme - che devono essere certificate dalle autorità - e non possono essere più di 7mila per ogni regione. Queste ultime regole, con una decisa spinta da parte del Cremlino com'era prevedibile, hanno di recente comportato l'esclusione del candidato pacifista Boris Nadezhdin.
"Generazione Z", proteste silenziose ed effetto Navalny -
Il vero nodo delle presidenziali per Putin non è se vincerà, ma come vincerà. Se da un lato la riconferma alla guida del Cremlino fino al 2030 è scontata, dall'altro non lo sono la partecipazione popolare e l'affluenza, che nell'ultima tornata presidenziale (2018) si attestò al 67,5%. Putin punta a un dato non inferiore all'85%, ma deve fare i conti con le sparute ma determinate forze di opposizione. L'avvertimento "niente proteste ai seggi" si riferisce proprio alla potenziale azione di queste ultime. Come il movimento ideato dall'ex deputato regionale di San Pietroburgo Maksim Reznik: la sua campagna "Mezzogiorno contro Putin" era stata abbracciata anche dall'oppositore Aleksei Navalny pochi giorni prima di morire nella colonia penale in Siberia, e poi rilanciata dalla vedova del dissidente Yulia Navalnaya. Il piano è il seguente: presentarsi contemporaneamente ai seggi l'ultimo giorno delle votazioni, il 17 marzo, alle 12 e "votare contro il presidente, non importa per chi". Se ci si metterà pacificamente e tranquillamente in coda, "nessuno potrà farci nulla". Qui si inserisce il fenomeno delle cosiddette "proteste gentili", una primavera russa che esprime dissenso rispettando però le norme di ordine pubblico imposte dal Cremlino. L'immagine di legalità è importante per Putin, e la repressione la si scatena soltanto se si trovano pretesti per scatenarla. Motivi che migliaia di russi già nelle ultime settimane non hanno offerto al Cremlino, mentre a Mosca e a San Pietroburgo attendevano composti e calmi il loro turno in coda per deporre fiori sulla tomba di Navalny, per firmare petizioni per candidare a presidente di Boris Nadezhdin o per opporsi alla condanna del dissidente Oleg Orlov. Si penserebbe che questo messaggio sia rivolto principalmente ai giovani, però c'è un però. La figura di Putin risulta molto popolare tra quella che potremmo definire la "Generazione Z" di Russia, dove per "Z" si intende la lettera latina che sta per la "з" russa e che abbiamo imparato a vedere sui carri armati in Ucraina. Un messaggio diretto all'Occidente che, una volta per tutte, diciamo cosa significa: "per la pace" (in russo "за мир", "za mir"), dove il termine "mir" significa in russo vuol dire anche "mondo". Con la guerra, con la repressione, con tutte le decisioni del caso "andiamo a portare la pace in Ucraina". Un messaggio anche interno, rivolto a tutti quei giovani nati nel 2006 che al potere hanno conosciuto soltanto Putin, apprezzandone la vicinanza nelle numerose manifestazioni dedicate alla gioventù in giro per la Russia. Giovani sui quali il capo del Cremlino punta molto, orientando pesantemente anche il mondo della scuola e dell'istruzione.
Perché i russi continuano a sostenere Putin? -
La verità sta nelle piccole cose, dicono. In un piccolo villaggio siberiano sperduto sui Monti Urali, Butka, le elezioni sono sentite come in ogni altro angolo della Federazione. Addirittura lo chiamano "la culla della democrazia russa", ma per motivi sarcasticamente anagrafici: a Butka è infatti nato Boris Eltsin, predecessore di Putin e primo presidente della Russia post-sovietica. Un reportage della TV franco-tedesca "Arte" e del progetto "Europa settegiorni" ci offre lo spaccato del putinismo ai margini dell'impero. "Per chi voterete?", "per Putin, per chi altri sennò? Scegliere un altro sarebbe peggio, lui lavora già da tanti anni al Cremlino e deve continuare". Ironia della sorte, il cugino di terzo grado di Eltsin voterebbe una potenziale candidata donna (come l'estromessa candidata pacifista Ekaterina Duntsova), ma spiega uno dei segreti del perdurante successo di Putin: la guerra in Ucraina. Chi poteva avere dubbi sul presidente, li ha dissolti nel momento in cui è stata decisa l'invasione "per liberare la Piccola Russia dall'ipocrita Occidente". La lunga e pressoché continuata esperienza al Cremlino e la totale soppressione delle voci dell'opposizione interna hanno determinato il successo e il consenso di Putin. Ancora oggi, nonostante tutto. Spesso si leggono espressioni superficiali come "la guerra di Putin" o "la Russia di Putin", ma Putin non è che un prodotto della Russia post-Urss che si crogiola ancora nel mito sovietico. Putin immagina grande una Russia che si immagina grande, per questo è "il migliore" per la stragrande maggioranza del Paese. Questo sentimento diffuso è poi sorretto anche da fatti più contingenti: l'ottima risposta dell'economia (più scontata di quanto si pensasse nell'Occidente delle sanzioni), i successi militari in Ucraina (lo stallo e la difesa di Crimea e Donbass sono considerate vittorie strategiche) e le crescenti tensioni e debolezza interne alla coalizione Usa-Nato-Ue nel sostegno a Kiev. Da parte sua, Putin ha però un grande timore: passare alla storia come colui che ha perso l'Ucraina, considerata la vertebra basilare della civiltà russa oltre che cuscinetto strategico imprescindibile. Una sconfitta "morale" che nessun russo potrebbe tollerare.
Affari, memoria, potenza: lo spirito del Volga -
Da qualche altra parte sul basso corso del Volga, il fiume che più di ogni altro rappresenta l'anima della civiltà russa, si sostiene che gli affari non siano mai andati bene come da quando l'Occidente ha imposto le sanzioni a Mosca. Il commercio e i progetti infrastrutturali con l'Iran, i cantieri, le opere pubbliche, l'export di petrolio e grano verso l'Asia, l'import di materiali e macchine industriali, gli allevamenti di storioni per il caviale, le vacanze sulle spiagge del Volga e sul Mar Caspio anziché in Grecia, l'inesistente concorrenza di prodotti occidentali, la rinascita dei prodotti tipici locali e altro ancora. Lontano dagli occhi d'Europa e dal fronte della guerra, i russi condividono la potenza del loro condottiero, ben consci che egli è solo un mezzo per perseguire l'eterna memoria (e gloria) dell'impero. Tra bandiere dell'Unione Sovietica, quadri di Stalin e statue di Lenin c'è però anche chi il lavoro e la casa li ha lasciati per povertà o mancanza di alternative e si è arruolato nell'esercito o nelle compagnie paramilitari inglobate nel ministero della Difesa. Ed è partito per il Donbass. In tanti, tantissimi non sono tornati a casa e vengono celebrati dal potere centrale come eroi: gli intestano banchi di scuola, intervistano e fanno posare i loro cari in foto e passano i loro nomi alla televisione, che nella maggior parte dei centri rappresenta l'unica forma (controllatissima) di informazione. Alle vedove e ai familiari viene versato un cospicuo contributo, dopo che i loro caduti avevano portato a casa contratti da 200mila rubli al mese (circa 2mila euro) in zone in cui lo stipendio non raggiunge neanche i 30mila rubli (circa 300 euro).
La Russia non è di Putin -
Un messaggio più di altri è talmente importante da doverlo ribadire: è la Russia che ha creato Putin, e non il contrario; è la Russia profonda che influenza Putin, e non il contrario. La vocazione anti-occidentale non se l'è inventata lui, non è un effetto della propaganda del Cremlino, semmai ne è causa e principio. L'essere "altro" rispetto al sistema di valori universali occidentali è il fondamento stesso dell'identità russa. Lo scontro con l'Occidente è percepito come uno scontro di civiltà, frutto spinoso nato da due opposte radici: un'esagerata idea di sé e l'insicurezza data dalla mancanza di barriere naturali che impediscano l'invasione del Paese. Per questo è importante l'Ucraina, per questo il territorio nazionale è immenso, per questo è inaccettabile l'allargamento della Nato a Est, per questo prosegue la volontà imperiale. E al contempo vive una nuova "fase Dostoevskij" di chiusura nel proprio sconfinato mondo, quel Russkij Mir ("mondo russo") che poggia sull'idea di supremazia, su un'identità imperiale innestata nel cristianesimo ortodosso. Una religione nazionalista, una tradizione sociale, un modo tutto russo di vedere il mondo. Per i russi, Vladimir Putin incarna (ancora) tutto questo.