Il 2 marzo del 1984 arrivava nei negozi "Creuza de mä", l'album di Fabrizio De André che avrebbe cambiato la sua carriera lasciando un segno profondo nel mondo della musica italiana. Scritto e realizzato con Mauro Pagani, l'album è un'immersione nella cultura popolare del mediterraneo, con composizioni interamente cantate in genovese un uso di strumenti non tipici che trasportano l'opera nel campo della world music, all'epoca un territorio molto poco bazzicato dagli artisti italiani.
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Per capire l'importanza di un album come "Creuza de mä" basterebbe ricordare come David Byrne abbia dichiarato alla rivista "Rolling Stone" di considerarlo uno dei dieci album più importanti della scena musicale internazionale degli anni 80, "Rolling Stone Italia" lo ha piazzato al quarto posto nella classifica dei 100 dischi italiani più belli di sempre.
Per Fabrizio De André la realizzazione di questo album equivalse a un tuffo al largo in un mare sconosciuto. Lui, nato come cantautore con lo sguardo ben rivolto alla scuola francese e alla lezione di Brassens, poi evolutosi fino ad arrivare a modelli più americani in album come "Volume 8", "Rimini" e "Fabrizio De André" (meglio conosciuto come "L'indiano" per l'immagine di copertina), passando attraverso l'esperienza unica della collaborazione live con la Pfm, dall'incontro con Mauro Pagani spostò lo sguardo verso il Mediterraneo, trovando nelle sue tante tradizioni musicali la linfa per aprire un nuovo capito della sua carriera.
La decisione di cantare tutto in lingua genovese, non solo perché a lui più vicina ma anche perché ricca di molteplici influenze derivate dal ruolo detenuto per secoli da Genova di porto centrale negli scambi del Mediterraneo, fu all'epoca un vero azzardo commerciale. Mai un artista di levatura medio alta come era considerato allora De André aveva pubblicato un lavoro teoricamente così "locale". Il paradosso è che invece proprio il suo sguardo alle tradizioni avrebbe fatto del disco un album internazionale, travalicando i nostri confini. Il tema centrale di "Creuza de mä" ruota attorno al mare e al viaggio, che si incarna metaforicamente nel brano che dà il titolo all'album: la "creuza de ma" è infatti quel fenomeno per cui refoli di vento sul mare calmo creano striature che sembrano strade che si perdono sull'orizzonte. Il viaggio torna poi nella conclusiva "Da a me riva", in un'ideale chiusura del concept. Ma nelle canzoni vengono toccate anche le passioni (come nella sensuale "Jamin-a") e la sofferenza ("Sidùn" tratta del dolore di un padre di fronte alla morte del figlio in guerra. Temi che sul piano musicale prendono corpo ricorrendo a suoni e strumenti tipici dell'area mediterranea (Pagani suona oud, saz, bouzouki, mandola e mandolino), andando spesso a fonti dirette extramusicali, come nel caso delle voci registrate dei venditori di pesce al mercato ittico di Piazza Cavour a Genova.
Per Fabrizio De André "Creuza de mä" rappresentò un momento di svolta e da quel momento la sua ricerca musicale si sarebbe fatta sempre più profonda e ricca (anche nel successivo "Le nuvole" avrebbe proseguito sulla strada del lavoro etnico/dialettale). Un disco il cui peso sarebbe cresciuto nel corso degli anni, anche dopo la scomparsa di De André: Mauro Pagani lo avrebbe inciso nuovamente per intero nel 2004, con nuovi arrangiamenti e l'aggiunta di diversi brani (tra questi "Megù Megùn" pubblicato su "Le nuvole").