Quante avventure ha vissuto Ulisse nell’Odissea di Omero uscendo indenne da flutti tempestosi per ritrovarsi in terre ignote? Quanti altrove ha visitato, quanti tipi umani ha conosciuto?
Nel teatro antico, emozioni e caratteri erano sintetizzati e solidificati dalle maschere, cambiate in scena con il mutare degli stati d’animo. Alcune sono qui, gigantizzate come relitti, glorificate come archeologia restituita da uno scavo - un altro viaggio senza mappa, tra i sedimenti della storia - oppure miniaturizzate come collane, orecchini, bracciali. Pertinacemente e appassionatamente alla ricerca di un altrove, sempre aperto ad accogliere il vario dell’umanità, Etro questa stagione affronta un viaggio omerico. Marco De Vincenzo ai programmi di viaggio preferisce le carte prova di antichi tessuti mentre interpreta il passato di Etro come una sedimentazione nella quale incontrare, ogni volta, qualcosa di sé, senza un piano stabilito a priori se non il desiderio di esprimere un punto di vista. Il vento dello stretto della sua Messina, lo stesso attraversato da Ulisse tra Scilla e Cariddi, scompiglia i capelli e agita come flutti gli strati leggeri, le gonne che si avviluppano e inerpicano come sciarpe, le sciarpe che baluginano come segni di evidenziatore, le delicatezze impalpabili protette da cappotti e giacche che invece sono solidi, dall’appiombo deciso. Strati sui quali si posano stampe - lamine su feltro, tamponature su pelle - mentre il paisley diventa un grosso punto a maglia, ma al rovescio, e spessi tessuti da tappezzeria sono tagliati come piccole giacche. Gli jacquard sulle body stockings - realizzate con Wolford - portano i disegni e i pattern direttamente sul corpo, li fanno seconda pelle, grado zero, in un contrappunto tra fragilità e forza che unisce il mondo maschile e quello femminile in una metafora materiale e umana, di stoffe e di tipi, così come di colori che si agitano e impastano, e poi si placano nel nero. Il viaggio continua, senza bussola e orgogliosamente senza mappa.