Niente di nuovo sul fronte orientale. La parafrasi del titolo e della tragicità del celebre romanzo di Remarque sulla Prima Guerra Mondiale ben si adatta allo stato della guerra tra Ucraina e Russia: centinaia di migliaia di morti in una guerra di trincea, un Paese devastato e nessuna pace all'orizzonte. Una guerra che compie due anni ed entra nel terzo, per non dire nel decimo se si considera l'intero conflitto per il Donbass, senza che nessuno dei due eserciti appaia vicino alla vittoria militare o abbia raggiunto conquiste decisive. Lo spostamento del fronte, in quest'ultimo anno, è una questione di metri, si conta a spanne. Ci si è ammazzati per un villaggio, una strada, una casa. L'anniversario riaccende l'attenzione e le consuete domande inesaudibili: chi sta vincendo e quando finirà tutto questo? Ciò che cominciamo a capire è che quella sorta di risiko che credevamo disegnato sul mappamondo si è rivelato un puzzle.
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La storia può essere magistra vitae, a patto però che si voglia imparare qualcosa. Il passato sembra suggerirci che sarà la Crimea il vero ago della bilancia delle sorti di questa guerra. Ma intanto sul terreno l'Ucraina è in difficoltà: a corto di uomini e munizioni, reduce dal fallimento della controffensiva e divisa da dissidi interni che hanno portato Zelensky a silurare il capo dell'esercito Zaluzhny. L'obiettivo del nuovo comandante Syrsky è quello di resistere a oltranza, puntando su una strategia difensiva, sempre però contando sugli aiuti occidentali. Aiuti che il Congresso degli Stati Uniti alla fine ha approvato, ma che in realtà non si sbloccano e non mutano l'intenzione dell'amministrazione Biden di congelare il conflitto. Perché per Washington la guerra non è in atto solo in Ucraina.
Guerra di logoramento: un fronte di fatto immobile -
Prima della presa di Avdiivka, novella Bakhmut e parimenti ridotta a un cumulo di macerie, i due eserciti erano da mesi fermi sulle medesime posizioni e sugli stessi villaggi, coi russi che a costo di enormi perdite materiali e umane erano riusciti rosicchiare appena qualche chilometro. Su un fronte che ne conta oltre mille, irto di fortificazioni e campi minati. I due eserciti si sono organizzati in maniera differente dal punto vista tecnico-militare: gli ucraini non hanno una linea di difesa continua come i russi (la cosiddetta "linea Surovikin" che cintura est e sud dell'Ucraina occupata), ma è fatta di capisaldi cooperanti, che cioè possono coordinarsi per un tiro incrociato contro i nemici. Ci sono però delle falle decisive. Zaluzhny ha praticamente sempre lasciato le migliori unità dietro la linea dei combattimenti, mandando avanti contingenti meno esperti come la 47esima Brigata nella battaglia per Bakhmut. Un esempio per tutti: nei piani di Kiev, la riconquista di Robotyne avrebbe dovuto richiedere 48 ore, mentre le truppe hanno impiegato 82 giorni. I russi, dal canto loro, riescono a far ruotare le truppe e a rifornirle con costanza, rimpiazzando perdite umane e materiali. Mosca ha infatti convertito l'economia in economia di guerra, a differenza dei Paesi occidentali. Se si osserva la cartina della guerra, si nota tuttavia come i russi debbano ancora effettivamente scacciare gli ucraini da quei territori che Mosca ha annesso unilateralmente: a sud un intero pezzo dell'oblast di Kherson al di là del fiume Dnepr, poi Zaporizhzhia al centro e a nord-est una porzione consistente del Donetsk, da Vuhledar a Kramatorsk e Lyman.
Le due fasi dell'offensiva russa -
La situazione però non è statica. Proprio il 7 ottobre, in maniera non casuale nello stesso giorno del maxi attacco di Hamas contro Israele, la Russia ha ripreso un'offensiva in due fasi: la prima va dal 7 ottobre 2023 fino alla fine di gennaio 2024 ed è stata definita dai russi stessi di "difesa d'attrito" o di "difesa attiva", in cui lo scopo degli attacchi è consumare le risorse ucraine. La seconda ha visto la presa di Avdiivka e ha modificato i bersagli dei bombardamenti: non più centrali e infrastrutture energetiche, ma strutture legate all'industria bellica e alla Difesa. Questo perché Kiev ha pianificato di espandere la propria produzione nazionale per non dipendere totalmente dai rifornimenti occidentali. Peccato, però, che fabbriche e capitali provengano proprio da Usa e Paesi europei come la Germania. Mosca può invece contare su una produzione industriale militare maggiore, coadiuvata dalle forniture di Corea del Nord e Iran (soprattutto droni): mediamente il quadruplo rispetto alle munizioni e ai mezzi garantiti a Kiev dall'Occidente, che in alcuni punti diventa addirittura dieci volte superiore. Per questo motivo l'Ucraina non riesce più a distruggere missili e droni russi come nei mesi passati. Ma la Russia è anche una potenza demografica: al fronte il rapporto è sostanzialmente di uno a uno, ma dietro le linee i russi consentono il ricambio, mentre gli ucraini non hanno una riserva e non sono in grado di crearsela perché da mesi sono fermi sulla legge sulla mobilitazione generale. L'esercito ha chiesto al governo Zelensky mezzo milione di reclute, in un Paese stremato e in protesta per il mancato ritorno dei propri cari al fronte da due anni e dal quale sei milioni di cittadini sono fuggiti all'estero. Un Paese che insegue disperatamente un miglioramento tecnologico militare che consenta di spezzare la morsa russa nei territori occupati. Ma servono almeno i jet F-16, promessi ma mai arrivati, per mettersi al sicuro almeno nei cieli.
La stanchezza di Usa e Ue e le divisioni ucraine: il lato politico della guerra -
Le sanzioni non hanno indebolito la Russia, che ha aumentato la produzione in tutti i campi e accresciuto l'occupazione soprattutto giovanile per lo sforzo bellico. La Rostec e le sue consociate lavorano giorno e notte a un ritmo furibondo e si sono riaperte fabbriche in disuso. E il mondo non ha isolato la Russia, anzi: la maggior parte dell'umanità non si è infatti schierata contro Mosca dopo l'invasione dell'Ucraina, neanche nei consessi internazionali come l'Onu. In primis Cina e India, in sede Brics, ma anche Corea del Nord e Iran, che sono diventati i principali fornitori militari di Mosca. All'opposto, gli Usa hanno bloccato i fondi per il sostegno militare e finanziario all'Ucraina, che tecnicamente è un Paese fallito sul piano economico, mentre nell'Ue l'opposizione dell'Ungheria di Orban (ma anche di Slovacchia e Austria) blocca 50 milioni di euro di aiuti e l'industria europea non vuole e non è più in grado di garantire le forniture di munizioni e armi promesse a Zelensky. Questo perché in Europa ci siamo abituati negli ultimi decenni a combattere guerre asimmetriche, convertendo e riducendo di molto la produzione bellica. La sopraggiunta freddezza occidentale nel sostegno militare, e l'attuale impossibilità di un ingresso nella Nato e nell'Ue, hanno così spinto l'Ucraina a cercare di ottenere accordi bilaterali di sicurezza coi singoli Paesi. Tra questi spiccano il Regno Unito e la Norvegia, soprattutto per quanto riguarda supporto navale e addestramento, con Polonia e Germania pronte a seguire l'esempio. E l'Italia, certo, con cui Kiev ha ottenuto aiuti per dieci anni e consultazioni entro 24 ore dalla richiesta per rispondere ad attacchi russi. L'obiettivo finale è la costruzione di una rete di alleanze che garantiscano la sicurezza ucraina in caso di un'ulteriore aggressione russa dopo un eventuale accordo. C'è però da fare i conti con un sistema di corruzione endemico, che ha portato ad esempio al fallimento della controffensiva per la vendita illecito e sottobanco delle già scarse munizioni: al fronte ne arrivarono 360mila, invece delle circa 800mila necessarie all'esercito. Neanche i mezzi per lo sminamento erano sufficienti.
Zelensky contro tutti -
Il tutto mentre in patria Zelensky perde consensi: si parla di uno scarso 60% dopo la rimozione di Zaluzhny al vertice dell'esercito, certificato anche dai media più patriottici come il The Kyiv Independent, contro il 94% dell'ex comandante. Il presidente ucraino ha pagato anche il rinvio sine die delle elezioni (con la "scusa" della legge marziale in vigore) e la costante interferenza politica negli affari militari, imponendo a generali e soldati la propria visione finora percepita come fallimentare. Un dissidio profondo che, prima della rimozione di Zaluzhny, ha portato all'allontanamento di gran parte del suo Stato maggiore, nonché dei capi del reclutamento nei vari oblast. Una parabola opposta a quella seguita da Putin, che all'inizio si imponeva maggiormente sui vertici militari, decidendo poi di fare un passo indietro e lasciare la gestione agli addetti ai lavori. Sul groppone di Zelensky pesano infine le cosiddette "purghe" contro oppositori o funzionari non graditi, ma anche i sospetti di responsabilità in gravi episodi come l'avvelenamento della moglie del capo dell'intelligence militare Kyrylo Budanov. La donna, Marianna Budanova, non era solo un'agente operativa ma anche la consigliera principale del popolarissimo sindaco di Kiev Vitaly Klitschko, altro grande avversario politico di Zelensky in ottica di voto.
Cosa succederà ora in Ucraina? -
Quando le strategie di entrambi gli eserciti diventeranno davvero difensive, si potrebbe creare una situazione di stallo che aprirebbe a sua volta il campo alle trattative diplomatiche. Molto dipende però dai reali obiettivi di Mosca, che sta aumentando pressione e vantaggio sugli avversari con il probabile intento di rettificare il fronte in vista di un confine futuro. Confine che in alcuni punti è naturale, come l'estuario del Dnepr a sud, in altri è segnato da fortificazioni e città fantasma divenute trappole militari. Confine che, inoltre, gli ucraini hanno reso letteralmente esplosivo piazzando un numero spropositato di mine, che arrivano anche a 1.500 per chilometro quadrato. Da qui la conquista di Avdiivka e l'imminente offensiva su Robotyne, che allontanano gli ucraini dai territori di Donetsk e Zaporizhzhia, dichiarati annessi alla Federazione Russa dai referendum farsa del Cremlino. La tattica intrapresa è quella del cosiddetto "muradovismo", dal nome del generale Rustam Muradov che a Vuhledar, nell'inverno del 2023, mise in atto un assedio quasi medievale, avanzando un battaglione alla volta a ondate successive. In definitiva, i russi non vogliono lanciare grandi offensive od occupare intere regioni, perché ciò richiederebbe molti uomini per sfondare le linee nemiche e poi presidiare il territorio. Lo scopo è logorare la resistenza ucraina fino allo strappo e alla resa, parallelamente alla prosecuzione della russificazione delle zone occupate. Allargando lo sguardo al sistema globale, la guerra d'Ucraina rischia di minare alle fondamenta socio-economiche il sistema europeo a guida Usa e la sua funzione di deterrenza nei confronti del resto del mondo anti-occidentale.
Negoziati e previsioni: quando finirà la guerra? -
E infine la domanda da un milione: quando finirà la guerra? La risposta resta ancora oscura. La Russia ha tutto l'interesse e il vantaggio a mantenere le proprie posizioni, forte della sua potenza demografica e industriale. L'Ucraina è allo stremo, ma non mollerà un centimetro del territorio nazionale. La guerra finirà quando verrà fuori la titolarità politico-giuridica degli Stati Uniti (oltre che della Russia, s'intende) e la loro volontà di sedersi al tavolo coi russi. Russi che, come hanno sempre dichiarato, vogliono trattare solo con gli americani, da pari a pari. La fallita controffensiva ucraina e la volontà russa di non lanciarsi in grandi conquiste, nonostante Mosca ne abbia le capacità, preannunciano una guerra ancora lunga. Se Kiev vuole avere una speranza, non deve innanzitutto cadere nello stesso errore della controffensiva, ma trincerarsi in difesa se ha come obiettivo il logoramento russo. Come ha sottolineato Budanov, l'unico modo in cui Kiev potrebbe davvero dissanguare la Russia sarebbe costringerla a occupare l'intera Ucraina. Per il Cremlino prendere città come Kiev o Dnipro è impensabile. E alla fine della fiera, come si suol dire, una cosa è certa: il tempo avvantaggia Mosca e sembra che anche gli Usa vogliano usarlo per indurre l'Ucraina a più miti consigli. Lo scopo finale di Washington non è distruggere la Russia in questa guerra per procura, ma di sottrarla alle grinfie della Cina.