Clima, salute, sicurezza alimentare: per proteggere l’umanità i migliori alleati sono le specie animali, tra cui pipistrelli, insetti, avvoltoi, balene, squali, elefanti, leoni, tigri, lupi, quasi tutti minacciati in vario modo purtroppo dall’uomo stesso. La perdita di una specie causa, infatti, un effetto “domino”, che favorisce l’estinzione di altre o il degrado degli ecosistemi che da questa dipendono con danni che si ripercuotono fino noi umani. Stiamo vivendo la sesta estinzione di massa, a causa del tasso di scomparsa di specie così accelerato da provocare un vertiginoso crollo della biodiversità. Rivoluzione industriale, crescita della popolazione ed espansione delle città hanno accelerato gli impatti sulla biodiversità: oggi si stima un tasso di estinzione mille volte superiore al tasso di estinzione naturale.
Il WWF ha scelto la giornata in cui si celebra il padre dell’evoluzionismo per lanciare la sua campagna Our Nature ricordando che la nostra specie è ancora in tempo per scegliere il finale del nostro cammino evolutivo: estinguersi o convivere con la natura in un rapporto di coesistenza e collaborazione.
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Nel nuovo report lanciato nel Darwin day, dal titolo “Effetto domino: salvare le specie per non estinguerci”, i numeri parlano chiaro e spiegano il ruolo cruciale dei cosiddetti ‘servizi degli ecosistemi’ che hanno permesso alle nostre civiltà di svilupparsi e prosperare: il 35% della produzione agricola è legata all'impollinazione da parte degli insetti (api, farfalle, falene, bombi, coleotteri) ma in Europa e Nord America quasi il 50% delle specie esistenti è in grave declino e un terzo è in pericolo di estinzione. I minuscoli alleati come le formiche e gli altri artropodi contribuiscono alla degradazione della materia organica e alla mineralizzazione del suolo.
E sempre in materia di sicurezza alimentare, un'altra minaccia arriva dal degrado della qualità del suolo, che ha colpito un terzo della superficie terrestre, causato da deforestazione, sfruttamento dell'agricoltura industriale, inquinamento ed effetti della crisi climatica. Dal 1950 a oggi, oltre il 35% dei terreni adatti alle colture è stato degradato. A questo si aggiunge la perdita di capacità del suolo, depauperato o privato dei suoi organismi, di svolgere un’importante funzione di assorbimento della CO2.
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Tornando alle specie, i pipistrelli che si nutrono di frutti, tipici di alcune foreste tropicali, aiutano a rigenerare in modo naturale il loro ambiente, grazie ad un incessante opera di diffusione dei semi: senza di essi le foreste diventano più vulnerabili e meno produttive con conseguenze negative anche per il sostentamento delle popolazioni umane locali. La perdita di biodiversità può farci ammalare. Ce lo hanno mostrato la diffusione della pandemia da COVID o di altre malattie trasmesse da patogeni che hanno colpito l’uomo come conseguenza dalla distruzione degli ecosistemi e dell’insostenibile gestione delle specie. Nel report si spiega il ruolo degli avvoltoi, senza i quali prende piede con più facilità la diffusione dei patogeni, come è già accaduto in Asia, dato che le carcasse, di cui si nutrono possono favorire la diffusione di malattie come la rabbia e altre infezioni.
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Se il continente africano perdesse tutti i suoi elefanti, si esaurirebbe anche la capacità di stoccaggio di 3 miliardi di tonnellate di carbonio, il principale responsabile dei cambiamenti climatici in atto: i pachidermi della foresta tropicale africana hanno, infatti, una predilezione per le piante e alberi a crescita rapida mentre trascurano quelle ad accrescimento più lento le quali, avendo un’alta densità di legno, favoriscono un elevato stoccaggio di carbonio. Senza lupi nei nostri boschi mancherebbe quel freno alla pressione sulla vegetazione creata da tutti gli ungulati erbivori, come cervi e caprioli, che si nutrono di germogli e plantule, e come i cinghiali, la cui eccessiva presenza in numerosi contesti abbassa enormemente la biodiversità della vegetazione nel sottobosco, con la conseguente riduzione della capacità di rigenerazione degli ambienti boschivi.
Un ecosistema forestale ben funzionante regola il deflusso delle piogge, raccoglie e filtra l’acqua delle precipitazioni, riducendo il carico di inquinanti e fornendo acqua potabile. Quando le capacità ecologiche delle foreste si esauriscono, l’acqua diventa anche un pericoloso vettore di patogeni. Molte specie di organismi filtratoti, come ad esempio le cozze di acqua dolce, che contribuiscono alla qualità dell’acqua che beviamo, si sono già estinti o sono letteralmente sul baratro dell’estinzione. Anche la funzione della mitigazione dei cambiamenti climatici fornita dagli oceani è favorita dai loro abitanti, dai più maestosi come balene, squali, tonni, fino al minuscolo fitoplancton.
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Quando una balena muore, il carbonio contenuto nel suo corpo va a stoccarsi sul fondo degli oceani: si calcola che ogni grande balena sia capace di ‘sequestrare’ in media 33 tonnellate di CO2. Oggi vivono solo un quarto delle balene una volta presenti sul pianeta. Stessa funzione per il fitoplancton, la base dell’intero sistema ‘alimentare’ degli oceani che fornisce almeno il 50% di tutto l’ossigeno in atmosfera: questo insieme di microscopiche creature è in grado di sequestrare circa 37 miliardi di metri cubi di CO2 l’anno, circa il 40% di tutta quella prodotta, equivalente a quella catturata da 1,7 trilioni di alberi, più o meno quanto 4 foreste amazzoniche. Anche i tanto perseguitati squali e razze, sono nostri alleati per il clima poiché sequestrano anche loro carbonio sui fondali una volta morti, e la loro cattura su scala globale impedisce di stoccare negli oceani fino a 5 milioni di tonnellate di carbonio. A questo contributo prezioso si aggiungono anche il trasporto di nutrienti essenziali per la crescita del fitoplancton grazie alle loro migrazioni verticali e orizzontali e la riduzione della pressione degli ‘erbivori’ del mare come dugonghi e tartarughe.
Altri grandi migratori degli oceani, i tonni rossi, oltre allo stoccaggio di CO2, mantengono l'equilibrio della catena alimentare, rilasciano azoto con i propri scarti (escrementi) che agisce da fertilizzante naturale per il fitoplancton. Per fortuna, anche con il contributo del WWF, il destino di questa specie è cambiato grazie a regole più rigorose e controlli sulla pesca. Persino le simpatiche lontre di mare, che vivono nelle foreste di kelp, grandi alghe oceaniche, hanno una funzione regolatrice del clima poiché tengono sotto controllo le popolazioni degli invertebrati erbivori marini (ricci, bivalvi) con effetti positivi su un ecosistema fragile, le foreste di kelp appunto, che ha elevate capacità di stoccaggio del carbonio.
LA CAMPAGNA ‘OUR NATURE”: una grande azione collettiva che punta a “zero” perdita di specie e habitat naturali
Tutte le azioni e i progetti della campagna puntano a potenziare la protezione e il restauro degli habitat, a rafforzare la protezione e il ripristino di specie chiave diffondendo anche la conoscenza del ruolo essenziale della natura terrestre e marina e dei loro servizi per il benessere e la sopravvivenza della specie umana.
Con la campagna il WWF vuole contribuire all’ambizioso obiettivo di zero perdita di specie e habitat naturali entro il 2030. Grazie al supporto di cittadini, volontari, comunità locali e della comunità scientifica, la campagna sarà il motore di una grande azione collettiva per non erodere il capitale naturale e garantire così la nostra sopravvivenza. Nel solco della campagna brand “Il Panda siamo noi”, le attività di Our Nature del 2024 comprendono eventi, mostre, dibattiti, attività di citizen science, volontariato, sostegno a numerosi progetti di conservazione in Italia, comprese le 100 Oasi WWF, ripristino degli ambienti naturali e rafforzamento delle popolazioni di specie chiave come il cervo italico, sostegno ai progetti in difesa di tigre, elefante, leopardo delle nevi, lotta ai crimini di natura nel mondo.