La missiva

Ilaria Salis, l'ultima lettera dal carcere: "La mia discesa negli inferi"

Nella missiva, l'insegnante racconta l'arresto e un anno trascorso in prigione, tra le umiliazioni e la speranza di uscire

© Ansa

A quattro giorni dal primo anniversario del suo arresto a Budapest, arriva l'ultima lettera dal carcere di Ilaria Salis. Nella missiva - pubblicata da Repubblica e dal Corriere della Sera che cita il Tg3 -, l'insegnante racconta l'arresto, la discesa negli inferi del carcere, le umiliazioni e la speranza di uscire - prima o poi - "a riveder le stelle", citando Dante Alighieri e la sua Divina Commedia che, proprio dall'Inferno, prende il via. "Dopo un anno siamo ancora qui" è il titolo che l'insegnante dà al memoriale scritto a mano su sei fogli a righe e le date significative del suo "incubo" segnate in rosso. Racconta di quanto le manchino quelle "sensazioni di libertà" che fino all'11 febbraio del 2023 - quando finì in manette - erano quotidianità e, oggi, sono solo una speranza: "il profumo dell'erba" o "il tocco lieve di una carezza".

Il racconto - Il racconto parte proprio da quel sabato di un anno fa quando, portata in questura, viene accolta dalle grida "Duce! Mussolini!". "Le ultime parole che riesco a comprendere prima di essere travolta dalla Babele ugro-finnica", scrive nella lettera. Da lì in poi cominceranno "tre giorni di fermo e spostamenti concitati", alle prese con parole di cui non conosceva il significato, e poi l'arrivo "in galera". "Ga-le-ra", scrive scandendo le sillabe. "14 febbraio 2023", in rosso. "Per me si va nella città dolente", scrive citando ancora il poeta toscano. "Mi invade un vuoto prepotente e il tempo inizia a dilatarsi - ricorda Ilaria -. I colori tetri e stinti, la penombra, l'aria viziata, latrati dei carcerieri, i rituali di ingresso: tutto questo spettacolo rimarrà impresso con tinte sinistre dentro di me".

L'insegnante ripercorre tutti gli step che l'hanno poi portata in cella. Dal "rituale di depositare gli oggetti personali" alla sensazione di sollievo quando le tolgono le manette dai polsi. Poi l'incontro con quegli agenti di polizia penitenziaria con "uniforme paramilitare" e "passamontagna nero". "Per giorni - scrive - non capisco assolutamente niente di ciò che mi succede intorno. Sono talmente sfinita che mi addormento in continuazione e quando cerco di metter qualcosa sotto i denti vomito tutto all'istante".

In cella "il tempo passa in modo strano - conclude Ilaria -. Le giornate non passano più, ma i giorni si susseguono veloci. Mi guardo in quello che probabilmente dovrebbe avere una funzione di specchio, ma, più che riflettere le immagini, in realtà le deforma, e mi dico: 'Coraggio, Ila! Sempre a testa alta e con il sorriso. E quando uscirai di qui sarai più forte di prima'". "Nei mesi seguenti - le sue ultime parole - mi impegnerò a fondo a onorare questa promessa e a crescere giorno dopo giorno, preparandomi per il momento in cui finalmente tornerò 'a riveder le stelle'".

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