Il nostro Pianeta è sempre più caldo. E alcune conseguenze sono più visibili di altre. Un esempio? In un futuro non troppo lontano intere isole potrebbero scomparire sotto la superficie degli oceani. Una realtà con cui stiamo già iniziando a fare i conti.
Dal 1993 a oggi, il livello del mare in tutto il mondo è salito di quasi 10 centimetri a causa del riscaldamento globale, dovuto alle attività industriali dell’uomo, che provoca lo scioglimento dei ghiacciai.
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Lo sanno bene gli abitanti di Tuvalu, un arcipelago dell’Oceano Pacifico a metà strada tra le Hawaii e l’Australia, che potrebbe essere sommerso entro pochi decenni. Composto da 3 isole coralline e 6 atolli, con i suoi 26km quadrati complessivi non solo è il quarto stato più piccolo al mondo ma anche la casa di circa 11mila persone. Un luogo tanto bello quanto fragile, considerato tra i primi Paesi a rischio scomparsa definitiva. Da anni ormai le onde avanzano divorando le coste e cancellando la superficie calpestabile. Di questo passo, dicono gli esperti, entro la fine del secolo il 95% del territorio finirà risucchiato dall’acqua.
In suo soccorso è arrivata l’Australia, che grazie a un accordo firmato dai due governi ospiterà fino a 280 cittadini di Tuvalu ogni anno. Consentirà loro di vivere, studiare e lavorare nel Paese, gettando le basi per un futuro lontano dalla loro terra in pericolo.
Una mossa politica, spinta dagli effetti dei cambiamenti climatici, che apre uno scenario difficile da ignorare. Il 2023 è già stato classificato come l’anno più caldo mai registrato e le conseguenze a lungo termine sono già note agli esperti.
Secondo i dati delle Nazioni Unite, il 5% di Rio de Janeiro rischia di essere sommerso entro il 2050 a causa di inondazioni permanenti. Così come diverse altre città dell’America Latina, dei Caraibi e degli stati insulari del Pacifico.
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Anche i paesi dell’Asia meridionale potrebbero un giorno perdere parte del territorio. Nel 2022 le forti alluvioni dopo un lungo periodo di caldo hanno sommerso un terzo del Pakistan.
In alcune zone dell’Africa come il Sahel, fortemente dipendenti da attività agricole e allevamento, siccità e crisi idrica stanno provocando spostamenti interni e conflitti per le risorse.
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Quello delle migrazioni dovute alla crisi climatica è un fenomeno ancora poco conosciuto, ma in grado di crescere in modo esponenziale. Secondo il rapporto Groundswell della Banca Mondiale, tra poco meno di 30 anni la crisi climatica obbligherà 216 milioni di persone in sei diverse regioni del mondo a spostarsi entro i confini dei loro Paesi.
E sono molti i luoghi interessati. L’IPCC, il gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico composto dai massimi esperti del settore, stima che al momento il 40% della popolazione mondiale vive in ambienti vulnerabili.