di Marco Calindri: marcocalindri@libero.it
Andrea Lorenzon (consulente web): info@digitaltools.it
Scorrendo i titoli di molti spettacoli teatrali in scena in questa stagione, lo stesso discorso vale anche per quelle precedenti, sembra di consultare un’enciclopedia cinematografica.
‘La strana coppia’, ‘L’anatra all’arancia’, ‘Cena con delitto’, ‘Sister act’, ‘Trappola per topi’, ‘Cabaret’, ‘Travolti da un insolito destino…’, ‘My fair Lady’, ‘Tre uomini e una culla’ e così via, solo per fare alcuni esempi. Se queste scelte possono essere in parte giustificate per i ‘musical’, sicuramente sono meno accettabili riguardo alla ‘prosa’.
Ma allora, perché i produttori continuano ad attingere al serbatoio cinematografico per allestire uno spettacolo di prosa?
Il titolo di uno spettacolo, accattivante e riconoscibile dal pubblico, rappresenta sicuramente il superamento di un primo ostacolo per convincere gli spettatori ad acquistare un biglietto. Certo, il titolo soltanto non basta ma, se ben accompagnato ai nomi importanti dei protagonisti e, magari, al prestigio del regista, contribuisce sensibilmente a confezionare un prodotto artistico riconoscibile e presentabile al pubblico.
Nulla di male per questa procedura che rispetta, comunque, una legittima politica commerciale ma, così continuando a fare, non viene consentito a nuovi autori di esprimere le proprie capacità e di far crescere la loro creatività. E in Italia non mancano nuovi talenti capaci di rinnovare il panorama teatrale.
Cercare nuovi copioni da rappresentare, in realtà, significa anche impegnare i produttori a leggere, selezionare, valutare nonchè indirizzare i lavori dei nuovi autori e questo comporta un’organizzazione, forse troppo onerosa, che ormai ha lasciato spazio alla più facile scelta di un titolo già ‘nelle orecchie’ del pubblico.
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