L'intervista a Tgcom24

Violenza sulle donne, 20 anni fa sopravvisse al femminicidio: "Ho avuto due vite | Lui è libero. Io ho perso un figlio e porto i segni"

A Tgcom24 la testimonianza di Barbara Bartolotti che, nel 2003, fu presa a martellate, accoltellata, cosparsa di benzina e bruciata viva da un collega. Oggi gira l'Italia per testimoniare

di Gabriella Persiani

© Tgcom24

Libera di vivere è oggi Barbara Bortolotti, 49enne palermitana che vent'anni fa è scampata alla morte per mano di un collega respinto. "Libera di vivere", come il nome dell'associazione con cui gira l'Italia per sensibilizzare tutti contro la violenza sulle donne. Fu attirata in una trappola quel sabato pomeriggio del 20 dicembre 2003. Presa a martellate, accoltellata, cosparsa di benzina e bruciata viva. Si è finta morta per salvarsi, mentre il suo aggressore era convinto di aver portato a termine il suo obiettivo: "Non posso averti, meglio ucciderti". In quella brutalità la donna, allora 29enne, ha perso anche il terzo figlio che da poco sapeva di aspettare. E con tutte le sue forze si è trascinata fuori dalla terapia intensiva, dal centro grandi ustioni di Palermo, da cure invasive e innumerevoli interventi dolorosissimi. "Avevo una bella famiglia, un marito meraviglioso che mi è rimasto sempre accanto, due figli piccoli, un lavoro da impiegata, era tutto era perfetto nella mia vita, fino a quel giorno, quando una persona di fiducia si è trasformata in aguzzino", racconta a Tgcom24, mostrando la sua rinascita e un presente in prima linea contro i femminicidi.

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Vent'anni fa la brutale aggressione che per miracolo non si è trasformata in femminicidio. Cosa rimane oggi nel corpo e nella psiche?
"Di quel corpo martoriato rimane oggi un fisico pieno di forza, anche se ancora sfregiato da quella violenza, da quel fuoco, da quel martello, da quel coltello. La mia testa e la mia anima non dimenticano ma hanno deciso di andare avanti. Può dispiacermi di avere un corpo diverso, di avere i problemi che il trauma cranico lascia. Ho però deciso di andare avanti in quanto donna, mamma, moglie. Sono uscita fortificata, tramutando tutto quello che è successo in attaccamento alla vita. Non dimenticherò finché vivrò, perché mi faccio una doccia e mi vedo addosso i segni, ma cerco comunque con l'amore e con la mia missione di superare quella brutalità".

Cosa è cambiato nella società italiana? Nel 2003 non esisteva neanche il termine "femminicidio"...
"Ben poco: sono stati fatti piccolissimi passi avanti, ma siamo ancora molto indietro sia nel difendere prima la vittima, sia nel tutelarla dopo, attraverso la legge. Posso affermare, per esempio, che in caso di condanna, questi riti alternativi favoriscono i mostri. Noi vogliamo una pena certa. Nel 2003 non c'era neanche la legge sullo stalking. In più oggi ci sono i social: hanno trasformato la nostra vita, ci informano in tempo reale, ne siamo dipendenti, ma non tutti i casi sono così eclatanti né si possono conoscere tutti i soprusi che una donna subisce in casa, in famiglia, sul posto di lavoro".

Come sopravvissuta, ha oggi l'onere di testimoniare per essere di esempio alle donne abusate. Come e con quali obiettivi?
"Come vittima di femminicidio ho deciso di mettermi in prima fila e di metterci la faccia e il mio corpo segnato. Sono una testimonianza in vita che gira l'Italia e oltre. Vengo invitata a raccontare la mia storia e voglio far capire che se ce l'ho fatta io, ce la puoi fare anche tu. Dobbiamo essere sempre combattenti, pronte a non mollare contro violenza, per il rispetto. Ed è per questo che punto tantissimo alle scuole, dove porto la mia testimonianza ai ragazzi e ricevo i loro riscontri, le loro emozioni. In questa società malata è proprio dagli studenti delle scuole primarie che dobbiamo partire: non conoscono il termine femminicidio, non sanno cos'è il numero di emergenza 1522 né a chi rivolgersi, che ruolo abbia lo psicologo. E' importante che si sentano dire quanto è importante il rispetto l'uno per l'altro. Il mio lavoro continua poi con gli adulti, sempre attraverso la mia associazione "Libera di vivere", il mio libro che è un testo molto breve, ma concentrato. Lì c'è la mia disgrazia, le immagini shock della mia rinascita, ma vi si trova anche il mio amore per la vita, la mia forza. Che sono pronta a donare".

Cosa e chi l'ha aiutata e l'aiuta tuttora a trovare la forza di raccontare in tutta Italia la sua esperienza per non dimenticare?
"Oggi la forza la trovo in me stessa, nella fede, nella mia voglia di cambiamento e nel mio amore per la vita. Rimanendo in silenzio, omertosi, sempre dietro le quinte aspettando che altri facciano, non funziona. Sono in prima linea per me stessa e poi per gli altri. Ho trasformato così il mio dolore in rabbia e la mia rabbia è diventata missione: la mia missione è la mia forza. E quando incontro persone che si emozionano e mi abbracciano, ecco che lì si riempie la mia anima. Dico sempre che ho avuto due vite, una di queste è stata un martirio, tu cosa aspetti a vivere la tua vita? Aspetti che arrivi un mostro? Aspetti che arrivi una malattia? No, devi sempre lottare, non piangerti addosso e devi anche aiutare. Perché la mia famiglia, mio marito, i miei figli mi supportano, ma io ci metto tantissimo del mio. Dopo essermi salvata da un martello, da un coltello, dalla benzina, dalla terapia intensiva, dal centro ustioni, non posso andare a morire nel letto di casa mia. Non sarebbe neanche rispettoso nei confronti dei miei cari, perché li tirerei in un vortice senza via d'uscita".

Si è mai chiesta: perché a me?
"Sì, è una domanda che mi sono sempre posta insieme alla più generica: "Perché succedono queste cose?" Parole che mi sono rimbombate in testa per anni. E nessun uomo è riuscito mai a darmi una risposta, né un prete, né un politico, una persona comune. In Dio ho trovato forza, pace e ravvedimento e ho smesso di chiedermi perché a me. Un giorno nell'incontro con Dio saprò. Ora mi sta dando e va bene così".

Che ne è del suo aggressore?
"E' un uomo libero: ha scontato in quattro mesi la sua pena. Si è sposato, ha figli, è stato assunto in banca, ha una meravigliosa vita, soprattutto perché ha un corpo sano. Per lui provo indifferenza, perché avere rabbia e odio significa avere dei sentimenti. Invece per lui provo indifferenza e pietà. Credo comunque di avere una vita straordinaria indipendentemente dal fatto che non ho quello che ha lui, economicamente parlando e a livello di salute fisica. Vado avanti, non l'ho più incontrato ma se lo dovessi incontrare gli direi: "Se hai gli attributi, ora colpiscimi davanti" perché quando lo fece, mi colpì alle spalle. Non ho mai preso misure di sicurezza per la mia incolumità, svolgo bene la mia vita, esco anche da sola e non ho paura. Alla fine io sono piena di amore e di vita. Chi deve vergognarsi davanti alla società è qualcun altro".

In quell'orrore perse anche il bimbo che portava in grembo.
"E lo Stato non gli ha reso giustizia. L'omicidio del bambino non è stato considerato. Che dire? Per me è il mio angelo custode e sono sicura che un giorno ci riabbracceremo, però la vita va vissuta e bisogna andare avanti, anche se è tortuosa, piena di problemi, e chiedo, anche se ora qualcosa sta cambiando per la tutela della vita che è nel grembo di una donna, che l'omicidio venga riconosciuto e penalizzato. Perché è comunque sempre un cuore che batte dentro di te ed è un cuore che ha diritto alla vita e alla giustizia".

Si parla di violenza contro le donne l'8 marzo e il 25 Novembre. Come tenere alta l'attenzione sull'argomento tutto l'anno?
"Quando incontro i ragazzi nelle scuole o mi ritrovo tra la gente nei circoli, nelle piazze, nelle chiese, nelle aule consiliari, dico sempre che non bisogna preoccuparsi solo di organizzare eventi l'8 marzo e il 25 Novembre, senza neanche conoscere spesso il perché di queste date. La tv la guardiamo tutti, tutti accediamo ai social e tutti i giorni vengono commessi femminicidi. Questi temi si affrontano tutti i giorni, in tutti i momenti dell'anno. Si può parlane nelle scuole, si può parlare ai cittadini: il risveglio sociale deve esserci tutti i giorni. Ecco perché io mi adopero tanto e quando mi invitano sono sempre pronta a correre e testimoniare".

Oltre cento nel 2023 le vittime di femminicidio in Italia. Ma non ci sono solo loro: sono vittime anche i figli, i fratelli, i genitori.
"I femminicidi sono in continuo aumento e dobbiamo pensare anche a chi sopravvive alla tragedia. Quando una donna viene uccisa e lascia dei figli, costoro hanno una sofferenza enorme e implorano giustizia. Anche noi vogliamo giustizia per queste donne facendo capire a chi rimane, figli e mariti, che non bisogna vendicarsi, ma che dobbiamo confidare in pene certe. Dobbiamo poi crescere questi figli e invogliarli alla vita superando i traumi. Il peggio, come si dice, è per chi rimane e ha bisogno di essere rispettato e di vedere tutelata quella figura che adesso è sottoterra ma non è un oggetto, non è un corpo senz'anima e senza cuore".

Cosa c'è ancora da fare ancora a livello politico, culturale, sociale, economico?
"Chiedo alla politica di affrontare questo tema in maniera seria. Bisogna aiutare davvero i centri anti-violenza, con fondi garantiti, e bisogna anche unirsi per raggiungere un solo scopo: la giustizia. Possiamo fare tutte le manifestazioni del mondo, possiamo invitare la vittima a denunciare, ma quando poi passano troppi giorni per l'allontanamento del violento abbiamo già perso. I mostri dovrebbero pagare, servono pene certe. A livello culturale, poi, le donne che come me si mettono in prima linea dovrebbero essere ancor più supportate dai Comuni, perché le Amministrazioni in primis possono fare molto rispetto al semplice cittadino, all'insegnante. Vogliamo l'appoggio dello Stato, del governo, dei Comuni, dei quartieri, che creino iniziative e appoggino chi si presenta da loro con delle proposte per il sociale per dire a gran voce No alla violenza".

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