Benessere psicologico: è uno dei “diritti” per i quali gli studenti scenderanno in piazza per la grande manifestazione del 17 novembre. Guardando i dati si capisce bene il perché: oltre 7 universitari su 10 ammettono di percepire oltremodo la pressione generata dalle aspettative esterne rispetto ai loro risultati. E per più della metà di loro - il 37% del totale - lo stress indotto è addirittura un “compagno di studi” quotidiano.
Questo succede perché l’ansia da prestazione non viene generata solo dalle fonti più ovvie, come la famiglia. A peggiorare le cose, ci si mettono anche gli amici. Così come il mondo dell’informazione, con le sue storie di successo che, anziché stimolare, tendono a scoraggiare. Per questo, spesso, il rifugio più sicuro sembra essere la menzogna. La stessa che, purtroppo, è alla base di troppi tragici episodi di studenti che si tolgono la vita per paura del fallimento. Inoltre, sempre secondo gli studenti, gli atenei sono scarsamente preparati a supportare gli studenti da questo punto di vista.
A disegnare uno scenario così allarmante è un’indagine condotta dal portale Skuola.net su un campione di 600 ragazze e ragazzi nel pieno del proprio percorso accademico. A stimolare la ricerca è stata proprio una studentessa universitaria del corso in Scienze della Comunicazione presso l’Università dell’Insubria, che ha deciso di affrontare il tema nella sua tesi, titolata “L’alterità come ricchezza il marketing inclusivo e le sue sfumature etico sociali”.
Un problema che ormai riguarda tutti
Perché il problema è diffusissimo. Una qualche forma di pressione mista ad ansia, a conti fatti, l’hanno provata un po’ tutti quelli che stanno cercando di laurearsi. Come visto, oltre un terzo degli intervistati (37%), ci vive costantemente. Un quota simile (34%) ne viene attanagliata spesso e volentieri. Una percentuale non indifferente (17%) la percepisce giusto ogni tanto, a ondate. Alla fine, appena 1 su 10 si dichiara immune a qualsiasi condizionamento.
Un ruolo centrale nell’agire negativamente, spesso involontariamente, sull’umore dei ragazzi ce l’hanno le famiglie. Ben 6 studenti su 10 includono tra le fonti prioritarie da cui sentono provenire la fretta per il conseguimento dei risultati proprio i genitori. Ma questa è una vecchia storia. Quello che stupisce, invece, è che una fetta importante di universitari (51%) avvertano una certa pressione da chi dovrebbe, in teoria, essere solidale con loro: gli amici.
I media possono peggiorare le cose
Una parte di responsabilità, però, per i ragazzi ce l’hanno pure degli agenti, per così dire, “indiretti”. Come gli organi di informazione. Quasi la metà degli studenti sotto stress (42%) trova infatti nei media un’ulteriore fonte di ansia. Sul banco degli imputati, in particolare, ci sono le storie di successo che spesso popolano le pagine dei giornali e dei siti web; quelle con protagonisti giovani geni, fenomeni di rendimento e precocità. Ebbene, mettendo sui due piatti della bilancia effetti positivi e negativi di quei racconti, nelle teste degli universitari prevalgono i secondi: se per il 38% degli intervistati sono da stimolo per impegnarsi di più, il 40% ci vede solo un motivo in più per abbattersi. Il restante 22% ha un atteggiamento neutro, in un senso e nell’altro.
Una sorta di sindrome da accerchiamento che, anziché spingere in avanti, fa chiudere sempre più in sé stessi. Facendo sembrare una cosa normale abbandonarsi a un espediente che non porta da nessuna parte: mentire. Più di 1 studente universitario su 2 confessa di aver detto almeno una volta una bugia riguardo al proprio percorso accademico. Per circa 1 su 6 si tratta di un qualcosa che è ormai diventata consuetudine. Un rimedio che, in casi estremi, può rivelarsi davvero pericoloso. Le cronache ne sono testimoni.
Gli studenti chiedono maggior supporto
Proprio i media, in questo, potrebbero essere decisivi per modificare le cose. Ai ragazzi basterebbe che pubblicamente si facesse un diverso tipo di narrazione, che aiuti veramente tutti gli studenti, sottolineando valori come quelli della sana competizione e dell’unicità del percorso di ognuno o, più in generale, per sensibilizzare sulla fragilità delle nuove generazioni. Per 9 universitari su 10 sarebbe un cambio di paradigma fondamentale: per oltre la metà (51%) sarebbe fondamentale, per un altro quarto (25%) molto importante, per il 14% sicuramente di sostegno.
Anche le università, però, potrebbero fare molto di più. Visto che, al momento, solo 1 studente su 4 sente che il proprio ateneo promuova a sufficienza la questione, impegnandosi nella creazione di un ambiente sano e positivo, che favorisca la crescita accademica e personale dello studente, attraverso la trasmissione di messaggi di inclusione e sensibilizzazione sul tema.
“Vent’anni fa non era così comune laurearsi e il fenomeno dei fuoricorso era al contrario estremamente diffuso. Con la riforma del sistema universitario di fine millennio - in particolar modo con il passaggio al sistema 3+2 che ha moltiplicato atenei e corsi di laurea - il titolo di studio accademico è invece sembrato essere più accessibile di quanto fosse in passato. E se in parte questo è vero, perché i laureati sono aumentati, ciò ha fatto crescere in seno agli studenti e alle famiglie quasi un senso di obbligo nel conseguimento del titolo. Così, chi non riesce a farcela, perché le lauree non si regalano, si ritrova schiacciato in una pressa da cui è difficile uscire. Sia perché mancano alternative su larga scala alla formazione accademica, sia perché nel contempo gli atenei da qualche anno stanno dando la caccia ai fuoricorso in quanto inficiano le loro prestazioni e quindi anche i fondi su cui possono contare. Il risultato? Chi si allunga più del dovuto o vede lievitare l’importo delle tasse o, addirittura, decadere la validità del corso di studi, arrivando a rinunciare o doversi rimmatricolare”, così commenta Daniele Grassucci, direttore di Skuola.net.