Si può prendere un gruppo a emblema e termine di riferimento per tutto un genere musicale? Operazione difficile e anche arbitraria ma con i Public Enemy non si va lontano dal centrare l'obiettivo. Perché come spiega Andrea Di Quarto, autore di "Revolution! La vera storia dei Public Enemy", libro da poco pubblicato da Tsunami, il gruppo di Chuck D e Flavor Flav funge da lente attraverso la quale esaminare la storia stessa del rap, delinearne i suoi ampi tratti, tracciarne gli alti e bassi. Un fattore che va persino oltre l'importanza di alcuni dischi pubblicati dal gruppo, come "It Takes A Nation of Millions To Hold Us Back" e "Fear of a Black Planet".
Con lavori come questi i Public Enemy hanno ridisegnato i confini della musica, stravolgendo il funk, giostrando su sperimentazione, rime politicamente incendiarie e un impatto degno dei migliori gruppi rock, diventando così uno dei gruppi afroamericani più influenti di tutti i tempi. Ma soprattutto, grazie ai testi di Chuck D, hanno portato il rap da semplice intrattenimento a vera e propria arma artistica e politica, perfettamente riassunta nell'affermazione dello stesso Chuck D secondo cui "il rap è la CNN dell'America nera".
In questo modo Chuck D è diventato non solo uno dei più importanti portavoce della comunità hip hop, ma anche degli afroamericani tout court, e il messaggio dei Public Enemy ha influenzato pure le coscienze di milioni di giovani bianchi, esposti a un diverso punto di vista sulla storia e sulle istituzioni degli Stati Uniti d’America. Andrea Di Quarto, da appassionato e competente studioso di cultura afroamericana (già autore di una corposa storia del rap in due volumi e di una biografia di Tupac Shakur) ricostruisce la storia del gruppo con dovizia di particolari e con uno stile che rende l'immersione in questa epopea affascinante e scorrevole. Dalle radici del gruppo, che a differenza di altre realtà analoghe sorte nel medesimo periodo, affonda sì nella periferia nera delle grandi città ma essenzialmente borghese, fuori da un contesto di povertà e violenza. Ciò non ha impedito al gruppo, e a Chuck D in particolare, di abbracciare visioni politiche estreme, che spesso non sono state esenti da critiche. I Public Enemy hanno abbracciato gli insegnamenti della Nation of Islam e di una certa corrente del radicalismo nero più audace e bellicoso, per poi spingersi oltre e includere nelle proprie liriche il marxismo, il socialismo africano e l’afrocentrismo più "scientifico". Il loro logo, che ritrae una figura ribelle inquadrata dal mirino di un’arma da fuoco, suggerisce che i neri dalla mentalità forte siano il "nemico pubblico numero uno" della società, ma a loro volta i PE hanno messo nel mirino in tanti: non solo i difetti dell’America conservatrice, ma anche quelli di quella formalmente progressista nonché le storture del mondo contemporaneo.
Nel racconto, che dalla relativa oscurità di Long Island segue la band nel suo raggiungimento della popolarità planetaria fino al suo recente ritorno a un livello di notorietà più underground, non mancano le polemiche politiche nei primi anni Novanta e i tanti "incidenti di percorso", fra accuse di antisemitismo e problemi di droga e violenza domestica che hanno accompagnato Flavor Flav, uno dei membri più amati del gruppo. Una ricostruzione accurata e completa, preziosa per capire non solo il percorso di un gruppo che ha fatto la storia di un genere che ha segnato gli ultimi 40 anni di musica, ma anche per entrare a fondo nei segreti del genere stesso.
Andrea Di Quarto
"Revolution! La vera storia dei Public Enemy"
Tsunami Edizioni
ppgg. 336, euro 24