UN SETTORE POCO CONSIDERATO

Università e ricerca, l'Italia investe meno in Europa: a pagare sono le famiglie

Il nostro Paese è fanalino di coda europeo per risorse pubbliche destinate all'istruzione, anche a livello terziario. Nel 2019 il rapporto tra Pil e gli investimenti nel settore accademico era pari allo 0,90%

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I giovani chiedono più investimenti sul comparto istruzione e il prossimo 17 novembre - nella Giornata Internazionale degli Studenti - sarà proprio questo uno dei principali motivi della loro discesa in piazza. E hanno ragione, soprattutto per quanto riguarda il mondo della formazione terziaria, che in Italia coincide in gran parte con il concetto di università. Il nostro Paese è, infatti, fanalino di coda europeo per risorse pubbliche destinate all'istruzione, anche a livello terziario. Nel 2019, per fare un esempio, il rapporto tra Pil e gli investimenti nel settore accademico era pari allo 0,90%. A quello che manca mettono mano al portafogli le famiglie.

Si scommette poco sull'istruzione post diploma

L'Italia è una delle nazioni dell’area Ocse che, tra spesa dello Stato, delle famiglie e di altri soggetti pubblici o privati, investe meno nella formazione post diploma. Nel 2019 (anno degli ultimi dati Ocse disponibili) il nostro sistema Paese ha investito per ogni studente poco più di 12mila dollari. Nettamente al di sotto della media dell’area, che si è attestata sui 17.559 dollari pro capite. A segnalare tale arretratezza è un’analisi effettuata dal portale Skuola.net sulla base dell’ultimo rapporto Anvur, l’Agenzia di valutazione del sistema universitario.

Ma il vero passaggio preoccupante dell’indagine è quello che ci mette a confronto con i nostri “vicini di casa”. Nel 2019, in Italia, il rapporto tra il Prodotto Interno Lordo e gli investimenti nel settore terziario era pari allo 0,90%, peraltro in calo rispetto allo 0,94% registrato nel 2019. Laddove, sempre nel 2019, la media dei Paesi Ocse, anch’essa in calo, è stata comunque pari all’1,45%. Le altre grandi economie del Continente fanno tutte decisamente meglio: il Regno Unito, con l’1,98%, presenta un dato superiore del doppio di quello italiano; la Francia è all’1,48%, Spagna e Germania all’1,28%.

Se non ci fossero le famiglie la situazione sarebbe ancora più preoccupante

La situazione si fa ancora più pesante se, poi, consideriamo il ruolo che gioca lo Stato. Quindi scorporando la parte di spesa pubblica in formazione terziaria - che si traduce in servizi, contributi (come le borse di studio), sgravi e agevolazioni - da quella privata. Sempre mantenendo il collegamento tra investimenti e Pil, si può notare che il gap tra l’Italia e le altre nazioni si allarga soprattutto sulla parte statale. La spesa pubblica per il comparto università e affini, rispetto al Pil, attualmente è infatti pari allo 0,55%. La media Ocse è quasi doppia (0,93%). E, anche qui, le grandi economie d’Europa fanno meglio: la Spagna arriva all’0,84%, la Francia all’1,11%, la Germania all’1,04%. Sebbene in un quadro di generale ridimensionato rispetto a un decennio fa.

La conseguenza è che, se lo Stato investe meno, la differenza devono metterla i privati. In concreto, in Italia, per ogni 100 euro spesi in formazione terziaria, 61 arrivano da fonte pubblica, 36,6 euro provengono da fonte privata (famiglie, imprese, ecc.) e 2,4 euro da fonti internazionali. Quando la media dei Paesi Ocse, nel 2019, ha visto il 66% di fondi di provenienza pubblica e solo il 30,8% di provenienza privata.

Privati che, per inciso, sono essenzialmente le famiglie che "finanziano" i propri figli. Sempre nell’area Ocse, la ripartizione vede il 22,3% delle risorse private provenire dalle famiglie e solo il 9,3% da enti e istituzioni private. In Italia, con il 32,5%, il contributo delle famiglie è particolarmente significativo, mentre è marginale quello delle istituzioni private.

“È ormai risaputo che l’Italia investa poco in istruzione, formazione e ricerca rispetto alle economie più avanzate del Mondo e d’Europa. Ma è fatto poco noto che gran parte di questo deficit non si accumuli tra i banchi di scuola, bensì tra le aule dell’università. Infatti, la spesa pubblica per l’istruzione base in rapporto al Pil è paragonabile a quella dei vicini di casa, mentre per la formazione terziaria si investe la metà o addirittura un terzo rispetto alle altre grandi nazioni d’Europa. Così è inevitabile che le famiglie debbano mettere mano al portafoglio, molto più che in altri Paesi del continente”, così Daniele Grassucci, direttore di Skuola.net.