Il caso di Giovanni Veronesi

Gioielliere ucciso a Milano, al figlio 50mila euro dopo 10 anni

Un cifra ritenuta "irrisoria" dai legali che assistono l'uomo e che annunciano il ricorso in Appello e alle Corti europee

© Ansa

C'è una svolta nel caso di Giovanni Veronesi, il gioielliere 73enne ucciso a Milano il 21 marzo 2013, nel corso di una rapina nella centralissima via dell'Orso. L'orefice fu colpito 42 volte con un cacciavite. Ora il figlio, in assenza di risarcimento dell'imputato Ivan Gallo, condannato all'ergastolo e poi a 30 anni, ha ottenuto dal giudice civile di Roma che lo Stato italiano liquidi 50mila euro come indennizzo alle vittime di reati violenti. Un cifra ritenuta "irrisoria" dai legali che assistono il figlio della vittima e che annunciano il ricorso in Appello e alle Corti europee.

Il caso - L'omicida lavorava come tecnico ed era stato da poco licenziato dall'azienda che si occupava anche dell'impianto di videosorveglianza della gioielleria di Veronesi, nel quartiere Brera. Fu fermato dai carabinieri in Spagna dopo una fuga durata cinque giorni. Per il giudice che lo condannò all'ergastolo in primo grado, "prima di essere catturato dalle forze dell'ordine", l'uomo passò "le serate piacevolmente assumendo sostanze stupefacenti e dedicandosi ad attività ludiche", addirittura facendo "progetti per il suo futuro".

Gallo si era "mostrato totalmente insensibile all'orrendo omicidio commesso", dimostrando "assoluta indifferenza rispetto ai gravi delitti commessi". Il movente era la rapina "con il desiderio di racimolare il denaro necessario a recarsi in Spagna in visita alla figlia". Arrivato a Marbella, però, non si era "dedicato solo alla figlia - aveva scritto il giudice nelle motivazioni -. Un suo amico che vive là ha riferito a un comune conoscente che la sera in cui era arrivato era stato visto al porto 'tutto fatto' e mentre 'giocava a freccette con un altro tossicone"'.

A incastrare Gallo era stato il telefonino di Veronesi, rimasto nel giaccone portato via dal rapinatore assieme al bottino: quando la figlia dell'orefice, trovando la porta chiusa, ha composto il numero, il cellulare ha squillato e della chiamata è rimasta traccia nei tabulati. Analizzando i quali gli investigatori hanno visto che il telefonino, in quel momento, si trovava in un paese del Milanese. I carabinieri hanno fatto quindi irruzione in un albergo, trovando però solo le bende insanguinate utilizzate dal rapinatore. Fondamentali anche alcuni fotogrammi catturati dalle telecamere della zona. Una volta identificato, non è stato difficile rintracciarlo all'estero. Il killer era in Spagna, dove era giunto scappando attraverso il confine con la Francia.

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