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Nassiriya, 20 anni fa la strage dei militari italiani in Iraq

L'attentato del 12 novembre 2003 provocò 28 morti, di cui 19 italiani. Fu il più grave attacco subìto dall'esercito italiano dalla fine della Seconda Guerra Mondiale

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Nassiriya, Iraq. Sono le 10:40 locali (le 8:40 italiane) del 12 novembre 2003. Un'autocisterna forza l'entrata della base Maestrale, presidiata dai carabinieri. È lanciata a tutta velocità, trasporta due attentatori e quasi 300 chili di esplosivo. Il carabiniere Andrea Filippa, di guardia all'entrata, abbatte uno dei due terroristi, ma il mezzo prosegue la sua folle corsa. Poi l'esplosione che, con un effetto domino, fa saltare in aria il deposito munizioni. Il bilancio è terribile: 28 militari morti, di cui 19 italiani e 9 cittadini iracheni. A vent'anni dalla strage, i familiari delle vittime chiedono ancora la concessione delle medaglie d'oro al valor militare, per onorare la memoria e il sacrificio dei loro cari, definiti "eroi" per la nazione.

Tgcom24

Il comando dell' Italian Joint Task Force si trova a sette chilometri da Nassiriya, in una base denominata "White Horse", poco lontana da quella statunitense di Tallil. Il Reggimento Msi/Iraq, composto da carabinieri e polizia militare romena, occupa due postazioni: la base "Maestrale" e la base "Libeccio", entrambe poste al centro dell'abitato di Nassiriya. Presso la prima, nota anche con il termine "Animal House" e che durante il regime di Saddam Hussein era sede della Camera di Commercio, è acquartierata l'Unità di Manovra. Ed è proprio qui che avviene la tragedia, passata alla storia come il più grave attacco subìto dall'esercito italiano dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.

Operazione "Antica Babilonia"  L'operazione "Antica Babilonia" era stata inaugurata qualche mese prima, il 15 luglio. In Iraq erano giunti 3mila militari, tra cui 400 membri dell'Arma dei carabinieri. I loro compiti erano molteplici: il mantenimento dell'ordine e della sicurezza, l'addestramento della polizia locale, la gestione dell'aeroporto e l'aiuto alla popolazione (cibo, acqua, farmaci). Erano lì per "aiutare quel Paese a recuperare un po' di normalità", come ha ricordato il maresciallo Antonio Lombardo. Nella regione di Nassiriya gli scontri erano meno gravi e meno frequenti rispetto ad altre aree dell'Iraq, come nei dintorni di Baghdad e Tikrit, presidiate dall'esercito statunitense. Una "tranquillità" relativa che spinse alcuni ufficiali, poche settimane prima della strage, a dichiarare che la missione italiana stava procedendo "senza problemi e in modo molto soddisfacente". Negli anni successivi le indagini hanno però fatto emergere dossier dell'epoca in cui l'esercito italiano non escludeva la possibilità dell'aumento di "attentati con mezzi esplosivi". Il 5 novembre, esattamente una settimana prima dell'attentato, l'intelligence militare si spinse ancora oltre, riferendo in un rapporto ufficiale che "un gruppo di terroristi di nazionalità siriana e yemenita si è trasferito nella città di Nassiriya".

La dinamica dell'attentato di Nassiriya  E arriviamo a quel tragico 12 novembre. Un camion-cisterna si avvicina alla base Maestrale, ma devia di colpo e accelera a tutto gas verso l'ingresso della struttura. A bordo due persone: l'autista e un uomo armato. Quest'ultimo si sporge dal finestrino e inizia a sparare all'impazzata contro il militare di guardia che controlla gli accessi. I nostri rispondono al fuoco. Intanto il camion non arresta la sua folle corsa e sfonda la barra di metallo dell'ingresso, per poi fermarsi dopo qualche metro contro i bastioni Hesco intorno al parcheggio della base. Erano stati messi lì proprio per eventualità di questo tipo. Appena si ferma, il camion esplode a circa 25 metri dall'edificio militare. Si pensa che a bordo fosse presente un ordigno contenente tra i 150 e i 300 chili. L'esplosione coinvolge anche il deposito di munizioni e sprigiona una potenza devastante. I sassi di ghiaia con cui erano stati riempiti i bastioni partono come proiettili in tutte le direzioni. I testimoni hanno parlato di scene apocalittiche, inclusa la rottura dei vetri delle finestre delle case nel raggio di quasi un chilometro.

I nostri caduti: quanti soldati morirono a Nassiriya  Dei 19 italiani morti nell'attentato di Nassiriya, cinque erano militari dell'esercito e dodici carabinieri. Il 12 novembre 2003 rimasero feriti altri venti connazionali: 15 carabinieri, quattro soldati e un civile. A vent'anni di distanza, il ricordo e il cordoglio per i nostri militari non si è affievolito. Di seguito i loro nomi, con relativi ruoli e gradi. Per non dimenticare.

I carabinieri morti a Nassiriya Massimiliano Bruno - maresciallo aiutante, Medaglia d'Oro di Benemerito della cultura e dell'arte

Giovanni Cavallaro - sottotenente

Giuseppe Coletta - brigadiere

Andrea Filippa - appuntato

Enzo Fregosi - maresciallo luogotenente

Daniele Ghione maresciallo capo

Horacio Majorana - appuntato

Ivan Ghitti - brigadiere

Domenico Intravaia - vice brigadiere

Filippo Merlino - sottotenente

Alfio Ragazzi - maresciallo aiutante, Medaglia d'Oro di Benemerito della cultura e dell'arte

Alfonso Trincone - maresciallo

I militari morti a Nassiriya Massimo Ficuciello - capitano

Silvio Olla - maresciallo capo

Alessandro Carrisi - primo caporal maggiore

Emanuele Ferraro - caporal maggiore capo scelto

Pietro Petrucci - caporal maggiore

I civili italiani uccisi a Nassiriya: Marco Beci e Stefano Rolla  Nell'attentato morirono anche due civili: Marco Beci, cooperatore internazionale, e il regista Stefano Rolla, impegnato con la sua troupe nelle riprese di uno sceneggiato sulla ricostruzione del Paese.

Perché i militari italiani si trovavano in Iraq  Dal luglio 2003 i militari italiani si trovavano a Nassiriya per volontà degli Stati Uniti, che avevano invaso l'Iraq allo scopo di deporre il dittatore Saddam Hussein. Un'invasione, com'è noto, giustificata con la falsa accusa americana di possesso di armi chimiche, biologiche e nucleari da parte del regime iracheno. La "coalizione di volenterosi" o i "nuovi crociati", come li definì l'allora presidente George W. Bush, erano giunti nel Paese a marzo e nel giro di poche settimane avevano compiuto la loro missione: Saddam e il suo regime erano finiti. La dittatura sunnita di Hussein aveva oppresso per anni la maggioranza sciita dell'Iraq. Erano sunniti anche gli iracheni affiliati ad Al Qaeda, che Saddam era accusato di proteggere. Nonostante la deposizione del dittatore iracheno, gli Usa commisero un errore strategico e non presero la capitale Baghdad, nella cui zona si sono susseguiti durissimi scontri per settimane. La guerra non era affatto finita. Le Nazioni Unite lanciarono operazioni militari di peacekeeping nei territori conquistati, appannaggio degli alleati. Tra cui gli italiani, per l'appunto.

Oggi ci sono ancora militari in Iraq?  Le missioni umanitarie dei militari italiani in Iraq non si sono concluse. Nonostante il ridimensionamento dei contingenti, i carabinieri sono comunque presenti in 73 Paesi, tra cui appunto l'Iraq. Lo scopo è sempre quello di istruire la polizia federale. Dopo l'escalation del conflitto tra Israele e Hamas, gli Usa hanno inoltre richiesto l'invio a Gerusalemme di due ufficiali italiani che curino i rapporti con l'Autorità palestinese.

Nel 2021 lo Stato ha negato il Tfr ai familiari di Matteo Vanzan, caporal maggiore dei Lagunari che perse la vita nel 2004, sempre nell'ambito dell'operazione "Anticxa Babilonia", nel corso di uno scontro con dei miliziani ribelli.

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