Le retribuzioni dei docenti italiani sono inferiori a quelle della maggioranza degli altri paesi europei. È un dato di fatto. E non basterà a invertire la situazione l’incremento previsto in busta paga a partire da gennaio 2024: circa 200 euro in più al mese. Un adeguamento al rialzo, appena sbloccato dal Ministero dell’Istruzione e del Merito, frutto di diversi fattori - saldi pregressi, anticipi contrattuali, sgravi fiscali - che, per questo, non sembra accontentare i destinatari della misura. Secondo un sondaggio effettuato da La Tecnica della Scuola, circa la metà degli insegnanti (il 45,5%) valuta negativamente la notizia. Non tanto perché non apprezzano l’aumento, quanto perché ritenuto insufficiente per colmare la distanza che li separa dai loro colleghi europei. Ma sono davvero così basse le retribuzioni della nostra classe docente? Dipende dai punti vista, come mostra un’analisi più generale effettuata dal portale Skuola.net.
Un problema "europeo"
Prendendo a riferimento l’ultimo rapporto Eurydice “Teachers’ and School Heads’ Salaries and Allowances in Europe”, aggiornato al 2021/2022, ci si accorge infatti che gli stipendi delle professoresse e dei professori italiani sono abbastanza in linea con quelli medi del Vecchio Continente. A livello generale si parla di 25.055 euro lordi annui. Noi siamo giusto un gradino sotto, attorno ai 24mila euro. Minime anche le differenze rispetto ai Paesi con cui solitamente ci misuriamo: la Francia resta sotto il tetto dei 30mila euro, la Spagna lo supera di poco, in Austria si sfiorano i 40mila euro.
Tra le big europee solo la Germania prende il largo, con oltre 54mila euro di stipendio all’anno per i propri insegnanti. Fuori scala Lussemburgo e Svizzera, dove un docente percepisce in media quasi 70mila euro all’anno. Ma di contro, ci sono anche grandi nazioni che restano molto più in giù: in Grecia non si va oltre i 13mila euro, il Portogallo è sotto i 24mila euro. Per non parlare di realtà come l’Albania, la Serbia, la Polonia, l’Ungheria, la Turchia, tutte sotto quota 10mila euro annui.
Inoltre, le retribuzioni italiane sono allineate con il Prodotto Interno Lordo pro capite, ovvero il parametro che misura il salario effettivo: più alto è il PIL pro capite, più alto è lo stipendio medio annuo. È vero che ci sono Paesi che fanno meglio di noi, ma l’Italia è comunque tra i tredici sistemi educativi in cui la paga degli insegnanti è abbastanza in linea all’indicatore medio. Solo nella scuola dell’infanzia e nella primaria è sotto il PIL pro capite medio. Mentre aree geografiche spesso portate come simbolo di efficienza pagano gli insegnanti meno della retribuzione media nazionale; fatto che si verifica ad esempio in Svezia e Norvegia.
Ciò non vuol dire che gli stipendi dei docenti italiani siano elevati. Il problema, come detto, esiste. E infatti il malcontento è diffuso anche altrove, in contesti assimilabili al nostro da questo punto di vista. Lo confermano le recenti proteste in Inghilterra o Ungheria. O la scarsa attrattività della professione che, sempre più, affligge alcuni sistemi scolastici, come la Francia e la Germania, dove sono migliaia le cattedre vacanti.
Gli aspetti che rendono la situazione italiana peggiore
Qual è, allora, la ragione della delusione? Probabilmente un certo “immobilismo” delle carriere, soprattutto proprio dal punto vista stipendiale. L’Italia, infatti, rientra in quel gruppo di nazioni in cui se avviene una crescita professionale, questa è molto lenta e non troppo appagante. Due le variabili che penalizzano i nostri insegnanti. Da un lato i tempi lunghi che occorrono per arrivare alla retribuzione massima: nel nostro Paese il traguardo si attesta a 35 anni di servizio. Dall’altro l’aumento che ci si può aspettare, che da noi non oltrepassa il 50% della retribuzione iniziale, che è di solo il 20% dopo 15 anni di docenza, e di appena il 10% dopo 10 anni.
Anche su questo, però, siamo in buona compagnia: ad esempio, la Francia riesce a garantire buoni scatti stipendiali, ma solo verso la fine della carriera; la Spagna fa peggio di noi. Più in generale, il numero medio di anni necessari per raggiungere il massimo della retribuzione, in generale, va dai 12 anni in Danimarca e nei Paesi Bassi ai 42 anni in Ungheria.
A rendere la situazione peggiore di quella che è, almeno nella percezione, è soprattutto il deciso calo del potere d’acquisto dovuto all’inflazione registrato negli ultimi anni un po’ per tutte le categorie, forse più accentuato in relazione a stipendi che cambiano così poco nel tempo. L’Italia, infatti, è tra le nazioni che, tra il 2014/2015 e il 2021/2022, sembrano aver accusato di più questo fenomeno, assieme a Belgio, Grecia, Spagna, Cipro, Portogallo, Finlandia, Norvegia, Turchia.
“Siamo tutti d’accordo che dovremmo pagare di più i nostri docenti: ogni Governo in carica non ha mai affermato il contrario. Il vero problema è trovare i fondi per farlo: se si desidera aumentare lo stipendio a tutti, considerando che tra titolari e supplenti ci sono 900.000 teste a libro paga, si parla di circa 1 miliardo di euro all’anno di spesa per ogni 100 euro lordi in busta paga al mese. Quindi abbiamo due strade: o far crescere di (poco) la retribuzione di tutti, oppure concentrare le risorse disponibili per potenziare i percorsi di crescita. Sì perché guardando bene i dati, il vero divario tra gli stipendi dei nostri prof e quelli del resto d’Europa sta proprio qui: altrove si fa carriera più rapidamente e lo stipendio cresce molto di più. Magari con un occhio ai meriti e non solo all’anzianità di servizio”, così Daniele Grassucci, direttore di Skuola.net.