di Marco Calindri marcocalindri@libero.it
Andrea Lorenzon (consulente web) info@digitaltools.it
Da molte stagioni la permanenza di uno spettacolo di prosa nei più importanti teatri italiani, tende a ridursi costantemente e, a mio avviso, in modo preoccupante.
Successivamente al periodo di pandemia, per il forte desiderio di riprendere i contatti umani, le persone hanno ricominciato a frequentare i locali di intrattenimento e il teatro è stato, ed è ancora, uno dei luoghi che ha più beneficiato di questa ritrovata voglia di emozioni.
I teatri delle grandi città, invece, sembrano avere poca fiducia nel rinnovato slancio del pubblico e, in molti casi, continuano a riservare periodi limitati a molti spettacoli di prosa. La permanenza di due o tre giorni in città come Milano o Roma, non può certo essere sufficiente per soddisfare l’eventuale interesse del pubblico.
Il legittimo sospetto è che sia i produttori che gli stessi teatri, non credano abbastanza nel prodotto che propongono al pubblico.
La tendenza, generalmente, è quella di investire sulle produzioni teatrali un po’ col freno tirato, temendo un flop economico ma, così facendo, si rinuncia a puntare sulla qualità. I teatri, dal canto loro, non potendo contare su forti elementi di richiamo per il pubblico, rischiano il meno possibile e limitano i giorni di programmazione. Un po’ il 'cane che si morde la coda'.
Non esiste la formula magica che garantisca il successo di uno spettacolo ma credo che sia possibile, come dimostrano alcuni casi, trovare un giusto equilibrio tra la qualità che può attrarre gli spettatori e i costi di produzione.
Nella stagione in corso si intravede qualche segnale in controtendenza con programmazioni che arrivano anche a 4 settimane. Cito, ad esempio, l’Elfo Puccini e il Franco Parenti a Milano, il Teatro Manzoni di Roma e il Teatro Diana di Napoli.
Bisogna crederci: se uno spettacolo è di qualità, raramente il pubblico non risponde positivamente.